Nel 1948 il Premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a me, Thomas Stearns Eliot, quarto scrittore statunitense, “Per il suo notevole e pionieristico contributo alla poesia contemporanea“.
Ero nato a Saint Louis il 26 Settembre 1888, la mia era una famiglia benestante ed io ero il settimo figlio, avevo 5 sorelle e un fratello. Mi appassionai alla letteratura già durante l’infanzia, questo perché, avendo problemi fisici, ovvero una doppia ernia inguinale congenita, non potevo partecipare ai giochi con i miei coetanei. Essendo pertanto molto solo, sviluppai questa grande passione: imparai a leggere e i libri divennero la mia ossessione. Preferivo i racconti di vita selvaggia come quella narrata da Mark Twain in “Tom Sawyer“. A 14 inizia a scrivere le mie prime poesie e nel 1905 iniziai a pubblicare su alcune riviste e dall’anno successivo iniziai a frequentare l’Università di Harvard, dove ebbi modo di conoscere e apprezzare la letteratura europea. Tra gli autori miei preferiti c’era Dante, col quale imparai l’italiano e al quale dedicai uno dei miei saggi più famosi. Nel 1910 mi trasferii a Parigi e mi iscrissi alla Sorbona, frequentai le lezioni del Premio Nobel per la Letteratura Enri Bergson ed ebbi modo di entrare in contatto con il simbolismo francese. In Francia rimasi un anno poi tornai ad Harvard per laurearmi in filosofia; nel 1914, grazie ad una borsa di studio, mi trasferii nel Regno Unito per frequentare Oxford. Nel 1917 mi trasferii a Londra dove inizia a lavorare alla Lloyd’s Bank e nel 1918 convolai a nozze con Vivienne Haigh-Wood, una ballerina con problemi di instabilità mentale che molto preoccuparono la mia famiglia. A Londra divenni grande amico di Ezra Pound che mi introdusse nei circoli artistici da lui frequentati. Divenni direttore della casa editrice Faber and Gwyner nella quale mi occupai di giovani artisti, poi però dovetti ricoverarmi in una clinica svizzera per sottopormi ad una cura psicologica e dove potei dedicarmi ad ultimare “La terra desolata” che pubblicai nel 1922, anno in cui fondai il periodico trimestrale “The Criterion“, al quale collaborarono scrittori del calibro di Pirandello, Yeats e Proust e con la quale, dal 1936 al 1939, appoggiai la causa dei repubblicani spagnoli. Furono anni di trasformazione personale: diventai cattolico, cittadino britannico e come ebbi modo di ribadire spesso, ero un classicista in letteratura, un monarchico in politica e anglo-americano in fatto di religione. Sì mi convertii all’anglicanesimo e divenni un conservatore a tal punto che la mia amicizia con Pound, un rivoluzionario, anti monarchico e filo fascista, entrò in crisi. A seguito della mia conversione religiosa iniziai a trattare con maggiore attenzione questo tema come testimoniato dalla pubblicazione nel 1930 di “Mercoledì delle ceneri“. Purtroppo la salute di mia moglie mi portò alla travagliata decisione di separarmi da lei, per ricoverarla in un istituto per malati mentali dove morì nel 1947, procurandomi profondi sensi di colpa. Comunque nel 1957 mi risposai. Nel 1948 intanto era arrivato il Nobel e nel 1964 la medaglia presidenziale della libertà da parte del Presidente Lyndon B. Johnson. Il 4 Gennaio 1965, un enfisema mise fine alla mia vita terrena nella mia casa di Londra. Oggi sono considerato uno dei più importanti poeti del secolo scorso, tra i massimi esponenti del modernismo, il cantore della crisi dell’uomo e della società occidentale tra le due guerre mondiali. Nonostante la poesia abbia rappresentato per me l’unico mezzo per evadere dalla mia difficile realtà familiare, mi dedicai anche al teatro con opere come “Assassinio nella cattedrale” del 1935, “Riunione di famiglia” del 1949, “L’impiegato di fiducia” del 1955, “Il grande statista” del 1959 e mi dedicai anche alla critica e alla saggistica con opere come “Il bosco sacro” del 1920, “Dante” del 1929, “L’uso della poesia e l’uso del criticismo” del 1933, “Dopo strani dei” del 1934 e molti altri.
A voi dedico questa poesia:
Il nome dei gatti.
E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;
niente che abbia a che vedere, infatti,
con i soliti giochi di fine settimana.
Potete anche pensare a prima vista,
che io sia matto come un cappellaio,
eppure, a conti fatti,
vi assicuro che un gatto deve avere in lista,
TRE NOMI DIFFERENTI. Prima di tutto quello che in
famiglia
potrà essere usato quotidianamente,
un nome come Pietro, Augusto, o come
Alonzo, Clemente;
come Vittorio o Gionata, oppure Giorgio o Giacomo
Vaniglia –
tutti nomi sensati per ogni esigenza corrente.
Ma se pensate che abbiano un suono più ameno,
nomi più fantasiosi si possono consigliare:
qualcuno pertinente ai gentiluomini,
altri più adatti invece alle signore:
nomi come Platone o Admeto, Elettra o
Filodemo –
tutti nomi sensati a scopo familiare.
Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome
che sia particolare, e peculiare, più dignitoso;
come potrebbe, altrimenti, mantenere la coda
perpendicolare,
mettere in mostra i baffi o sentirsi orgoglioso?
Nomi di questo genere posso fornirvene un quorum,
nomi come Mustràppola, Tisquàss o Ciprincolta,
nome Babalurina o Mostradorum,
nomi che vanno bene soltanto a un gatto per volta.
Comunque gira e rigira manca ancora un nome:
quello che non potete nemmeno indovinare,
né la ricerca umana è in grado di scovare;
ma IL GATTO LO CONOSCE, anche se ma lo confessa.
Quando vedete un gatto in profonda meditazione,
la ragione, credetemi, è sempre la stessa:
ha la mente perduta in rapimento ed in contemplazione
del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
del suo ineffabile effabile
effineffabile
profondo e inscrutabile unico NOME.
Nessuna risposta.