PREMIO NOBEL LETTERATURA: anno 1947 Andrè Gide

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Nel 1947 il Premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a me, Andrè Gide, settimo francese a vincerlo, “ Per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata penetrazione psicologica”.

Mettetevi comodi perché la mia vita è stata intensa e ho molto da raccontare. Nacqui a Parigi il 22 Novembre 1869, mio padre Paul era professore di Diritto all’Università di Parigi e mia madre era Juliette Rondeau. Mio padre discendeva da un’austera famiglia protestante, mentre mia madre discendeva da un’agiata famiglia borghese di Rouen di origini cattoliche ma poi convertitasi al protestantesimo da generazione. La mia infanzia si alternò tra una famiglia e l’altra, queste due diverse esperienze di vita influenzarono molto le mie opere, a volte anche in modo contraddittorio. A Parigi la mia famiglia visse vicino a Anna Shackleton, un tempo governante presso i miei nonni materni, dove rivestì anche il ruolo di insegnante di mia madre, alla quale la legò per sempre una forte amicizia. Anna era una donna dolce, spensierata, intelligente che svolse un ruolo importante nella mia formazione giovanile, tanto che alla sua morte nel 1884, che mi segnò profondamente, ne evocai il ricordo anche nelle mie opere “La porta stretta” e “Se il seme non muore”. Iniziai a studiare pianoforte nel 1876 e questo strumento divenne un fedele compagno di tutta la mia vita, rimpiansi di non aver mai avuto un insegnante capace di darmi i giusti insegnamenti per diventare un vero musicista. Ebbi un percorso di studi scolastico molto discontinuo: nel 1877 entrai alla Scuola Alsaziana ma venni sospeso per tre mesi perché mi scoprirono mentre mi lasciavo andare a solitarie “cattive abitudini”, così le definirono, e venni riammesso quando fui considerato guarito. Problemi di salute però mi allontanarono di nuovo dalla scuola e nonostante le attenzioni dei miei genitori, il mio “vizio” (così ho sempre definito la mia peccaminosa abitudine alla masturbazione che praticavo con forti sensi di colpa e di peccato, a causa della religione) tornò ad essere un’abitudine, tanto che ventitreenne scrissi di aver vissuto fino ad allora “vergine e depravato”. Il 28 Ottobre 1880 morì mio padre con il quale avevo un rapporto tenero e felice, ciò mi allontanò ancora di più da un’istruzione irregimentata, lasciandomi solo con mia madre. Lei veniva spesso dipinta come una donna rigida e severa ma per me provava un amore profondo ed io per lei. Lei mi seguì prima negli studi e poi nel mio percorso intellettuale, anche interferendo. Nel 1881 lei mi portò in Normandia dove mi affidò ad un precettore poco ispirato, poi ci trasferimmo a Montpellier da uno zio paterno Charles Gide, dove riuscii ad evitare la frequentazione del liceo, dove venivo preso in giro dai compagni, grazie ad una provvidenziale malattia nervosa, vero o falsa non lo confesserò mai. Nel 1882 tornai alla Scuola Alsaziana ma anche questa volta me ne allontanai per motivi di salute; da allora ci trasferimmo diverse volte e venni sempre affidato ad insegnanti privati più o meno capaci. Il 1882 fu anche l’anno in cui iniziai a frequentare mia cugina Madeleine, ero affascinato da lei tanto diversa da me, così rigida e conformista. La nostra fu una relazione lunga e tortuosa. Nel 1883 venne assunto come istitutore il professor Bauer e fu grazie a lui che iniziai a scrivere il mio diario intimo. Poi per tre anni venni colto da fervore religioso, condiviso con Madeleine, alla quale scrissi molte lettere di condivisione di questa esaltazione e di letture; studiai a fondo la Bibbia e gli autori greci, nonché a praticare l’ascetismo. Nel 1887, tornato alla Scuola Alsaziana strinsi un’amicizia fraterna con Pierre Louÿs con il quale condividevo la passione per la letteratura e l’aspirazione alla scrittura. Finiti finalmente gli studi iniziai a frequentare i salotti letterari dove conobbi molti scrittori. Pubblicai la mia prima raccolta, “I quaderni di André Walter” riponendovi tante speranze di successo che mi avrebbero permesso di sposare mia cugina ma in realtà ottenne sì un’accoglienza favorevole da parte della critica ma non da parte del pubblico, mi permise però di conoscere Maurice Barrès e Stéphane Mallarmé, i quali trasformarono il mio misticismo religioso in misticismo estetico. Purtroppo però si susseguirono alcuni “incidenti relazionali”: Louÿs ruppe la nostra amicizia accusandomi di egocentrismo, stessa sorte e stessa accusa che mi rivolse Madeleine che si rifiutò di sposarmi allontanandosi da me ma io iniziai una lunga battaglia per convincere lei e la famiglia, che si opponeva, al coronamento della nostra unione. Nel 1891 conobbi Oscar Wilde, una personalità che riusciva sia a spaventarmi che ad affascinarmi, incarnava per me l’esempio di un’altra esistenza. Mi avvicinai agli scritti di Goethe e ciò mi permise di far pace con il mio “vizio”, in quanto scoprii la legittimità del piacere a differenza di quanto affermato dal puritanesimo fin lì professato. Da ciò derivarono i contrasti con mia madre che, nonostante tutto cercò di aiutarmi a riconquistare Madeleine. L’amicizia fondamentale però fu quella che mi legò a Jean-Paul Laurens, un pittore, che mi invito a seguirlo in un viaggio che per me segnò l’occasione di una sorta di liberazione morale e sessuale, che ho riportato in “Se il seme non muore” e in “L’immoralista”. Partimmo per la Tunisia, Algeria e Italia dove intrecciai relazioni sessuali con un giovane tunisino e una algerina. Alla fine del viaggio decisi di trasferirmi in Svizzera, dove mi ero recato per alcuni accertamenti riguardo alla mia salute. Mi stabilii a La Brévine che divenne l’ambientazione di alcuni miei scritti. Nel 1895, dopo un nuovo viaggio in Algeria, tornai in Francia dove ritrovai Madeleine, con la quale mi sposai, matrimonio mai consumato, ma fu anche l’anno del grande dolore perché persi mia madre.  Con Madeleine, spesso malata, ci stabilimmo in Francia, dove venni eletto Sindaco di La Roque ma non mi impegnai mai in politica, continuai a scrivere e nel 1897 pubblicai “I nutrimenti terrestri” che raccolse consensi e critiche sia sui contenuti che sulla forma. Partecipai alla raccolta di firme per il caso Dreyfus ma non mi allontanai dai miei amici che si schierarono contro. In quel periodo conobbi gli scritti di Nietzsche nei quali ritrovai l’espressione dei miei pensieri più reconditi e contribuì ad aprirmi la mente. Nel 1901 riuscii a far allestire una mia opera teatrale ma la prima fu un fiasco totale tanto che decisi di snobbare il grande pubblico e il teatro. Poi nel 1902 pubblicai “L’immoralista”, un romanzo che ottenne un certo successo ma che mi fece sentire talmente incompreso, perché venni assimilato al protagonista, che non pubblicai quasi più nulla per i 7 anni successivi, fino al 1909 quando uscì “La porta stretta” ma anche questa volta, nonostante la benevola accoglienza della critica, venni associato alla protagonista senza che nessuno cogliesse nell’empatia che dimostravo nei suoi confronti non era approvazione e nemmeno venne colto il senso ironico della narrazione. Nel 1910 fondai la “Nouvelle Revue Française” ma non ne divenni il direttore, iniziai invece a scrivere “Corydon”, un saggio socratico che affronta i pregiudizi verso l’omosessualità e pederastia ma su consiglio degli amici che ne avevano letto la bozza, decisi di pubblicare o primi due capitoli in forma anonima e in poche copie, perché temevamo ripercussioni sulla mia vita pubblica e privata: lo pubblicai per intero e firmandolo solo nel 1924. Nel 1913 la pubblicazione de “I sotterranei del Vaticano” si rivelò un altro fallimento perché l’aver messo alla berlina sia i cattolici praticanti che gli atei mangiapreti mi alienò il consenso del pubblico. Questo fiasco mi allontanò dalla direzione della rivista. Nel 1916 tentai di riavvicinarmi al Cattolicesimo, più per una questione morale che religiosa, ma alla fine la conversione non avvenne sia a causa di un rifiuto da parte della Chiesa stessa, sia per mancanza di vero convincimento da parte mia, in compenso iniziai a scrivere la mia opera autobiografica “Se il seme non muore”. In quel periodo conobbi Marc Allégret con il quale iniziai una relazione che portò alla fine del mio matrimonio con Madeleine che decise di chiudere con me: la sua presa di coscienza della mia omosessualità la portò ad un’esplosione di rabbia tale che bruciò  tutte le lettere che ci eravamo scambiati negli anni e tornò dalla sua famiglia. La fine del mio matrimonio mi permise di pubblicare “Corydon” senza il timore delle eventuali ripercussioni sulla mia vita privata ma avvenne nell’indifferenza generale: non venne ritenuto un granché ma fornì ai miei numerosi detrattori, soprattutto di destra, nuovi argomenti contro di me. Sicuramente la pubblicazione de “Se il seme non muore” destò molto più scandalo. Intanto mi era nata una figlia, Catherine, avuta da Elisabeth van Rysselberghe, figlia di una mia amica alla quale avevo detto che non mi capacitavo di vederla senza figli e di non averne nemmeno io ma riconobbi la bambina solo dopo la morte di mia moglie alla quale avevo tenuta nascosta la sua nascita. Nel 1925 pubblicai quello che ho definito il mio primo vero romanzo “I falsari”, la prima opera che non subiva l’influenza di Madeleine. Da un viaggio in Congo con Marc riportai la passione per l’esotismo e la storia naturale ma soprattutto rimasi colpito dalla dura realtà del colonialismo e ne denunciai  la mancanze, gli errori e gli orrori: venni attaccato dalla destra e dalle compagnie commerciali. Seguì un periodo di crisi d’ispirazione e di apatia nei confronti dei viaggi che non mi entusiasmavano più, cominciai invece ad interessarmi al Comunismo nel quale vedevo una speranza per l’uomo, esperienza non condivisa dai miei amici. Misi a disposizione della causa il mio prestigio ma non la mia penna, perché sostenevo in modo assoluto l’autonomia della letteratura da ogni ideologia. Purtroppo le mie convinzioni crollarono durante una visita in URSS nel 1936, alla quale ero stato invitato: venni messo di fronte all’evidenza che non mi trovavo al cospetto di un nuovo uomo ma del vecchio, solito totalitarismo. La mia delusione la riportai su “Ritorno dall’URSS”, pubblicazione che il partito comunista francese e le autorità sovietiche cercarono di impedire ma mi imposi pubblicando poi “Ritocchi al mio ritorno dall’URSS” con la quale criticavo lo Stalinismo. Venni persino tacciato di Fascismo, non solo rifiutai questa definizione ma mi allontanai definitivamente dalla politica e tornai a concentrarmi sulla letteratura. Nel 1938 morì mia moglie maledicendomi e a quel nostro amore strano, complicato e difficile dedocao “Et nunc manet in te” pubblicato in tiratura limitata agli amici intimi. Con l’occupazione tedesca di Parigi mi rifiutai di associarmi al comitato direttore della mia rivista della quale i Tedeschi avevano assunto il controllo e smisi di pubblicare i miei articoli e rifiutai l’incarico di professore universitario. A causa delle forti critiche nei miei confronti, nel 1942 decisi di partire per Tunisi dove mi trovai in completo isolamento, quindi mi trasferii ad Algeri; feci ritorno in Francia solo nel 1946 ma faticai a ritagliarmi un posto nel mondo letterario all’epoca molto politicizzato ed io mi rifiutai di espormi, preferendo le pubblicazioni. Dal 1947 decisi di non scrivere più e incredibilmente mi giunse il Nobel ma ciò che desideravo era portare a compimento le mie ultime opere soprattutto il “Diario” e il mio ultimo quaderno autobiografico “Così sia o i giochi sono fatti”. Lasciai questo mondo il 19 Febbraio 1951 a Parigi, per una congestione polmonare e sono sepolto accanto a Madeleine nel piccolo cimitero di Cuverville. Nei miei testi ho cercato sempre di affermare i temi della libertà, senza vincoli morali e puritani, la ricerca dell’onestà intellettuale che permette di essere se stessi accettandosi senza venir meno ai proprio valori. A voi lascio questa poesia.

Il parco

Quando abbiam visto che era chiusa la porticina,
Siamo rimasti lungamente a piangere;
Quando abbiam capito che ciò non serviva granché,
Abbiamo ripreso lentamente il cammino.

Tutto il giorno abbiam costeggiato il muro del giardino,
E a tratti ci giungevano rumori di voci e risa;
Pensavamo che c’erano forse delle feste sull’erba,
E quest’idea ci rendeva malinconici.


Il sole a sera ha arrossato i muri del parco;
Non sapevamo che accadeva di là, non si vedevano
Che rami agitarsi in alto del muro,
Lasciando di tanto in tanto cadere le foglie.

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