PREMIO NOBEL LETTERATURA: anno 1950 Bertrand Russell

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Nel 1950 il Premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a me, Bertrand Russell, terzo scrittore inglese a ricevere questo importante onore “In riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero“.

Il mio nome per esteso era Bertrand Arthur William Russell e nacqui a Trellech, nel Galles, il 18 Maggio 1872. La mia era una famiglia di antica nobiltà: conti e duchi che risalivano a Giovanni Plantagento, per parte di padre; per parte di madre la mia parentela si estese fino a Winston Churchill e alla famiglia reale. Persi i miei genitori in tenera età e quindi venni cresciuto dai miei nonni, non fu un’infanzia felice, mi salvò il mio primo amore la matematica, come ebbi più volte a dire: «Io non sono nato felice. Da bambino il mio salmo preferito era: stanco della terra e carico dei miei peccati». A cinque anni, mi dissi che, se dovevo vivere fino ai settanta, avevo sopportato soltanto, fino a quel momento, la quattordicesima parte di tutta la mia vita, e, intravedendo davanti a me il tedio che mi attendeva su di un cammino così lungo, lo giudicai insopportabile. Durante l’adolescenza, la vita mi era odiosa e pensavo al suicidio; ma questo mio proposito era tenuto a freno dal desiderio di approfondire la conoscenza della matematica. A 15 anni il mio secondo amore iniziò a prendere piede, la filosofia, che mi liberò un pò da quella religiosità puritana che mi soffocava da sempre. Avevo 17 anno quando incontrai Alys Pearsall Smith, un’americana di cultura quacchera, durante un viaggio negli Stati Uniti al termine dei miei studi; ci sposammo nel 1894 ma ci separammo nel 1911, perché diciamo così, non ero una perla di fedeltà. Intanto avevo iniziato la mia carriera universitaria ed anche letteraria, avevo pubblicato il “Saggio sui fondamentali della geometria” e “Principia mathematica“, oltre che l’abbozzo di “Teoria della conoscenza“. Poi scoppiò la I° Guerra Mondiale e le mie idee pacifiste mi impegnarono molto e arrivai a pubblicare nel 1916 “Principi di riforma sociale” che mi costò il mio posto di insegnante e nel 1918, a causa di un altro articolo, finii persino in carcere per sei mesi. Nel 1920 intrapresi un lungo viaggio in Cina e poi in Russia, dove potei osservare la grandi mutazioni in corso dopo la rivoluzione. L’anno successivo divorziai e mi risposai con Dora Black, un’attivista femminista e scrittrice, che artisticamente assunse il mio cognome; da lei ebbe John e Kathrine, collaborai nella stesura di testi con mia moglie e insieme fondammo una scuola sperimentale per bambini e bambine di Beacon Hill. Nemmeno questo matrimonio però ebbe lunga durata: divorziai anche da Dora per sposare Patricia, una studentessa. Intanto avevo continuato a pubblicare: “Matrimonio e morale“, “La conquista della felicità” e “Quale via per la pace?“. Nel 1940 l’università di Los Angeles mi affidò un incarico e quindi mi trasferii negli Stati Uniti, vi rimasi fino al 1944 quando la mia vecchia scuola, il Trinity College dove avevo lavorato fino al 1916, si ricordò di me e tornai ad insegnare. Partecipai alle manifestazioni pacifiste più clamorose, dichiarai lotta aperta contro l’armamento atomico, contro la guerra e la demistificazione della politica delle grandi potenze e nel 1948 riuscii persino a salvarmi a nuoto da un incidente aereo. Nel 1952 divorziai anche da Patricia per sposare Edith che conoscevo da una vita. Continuai anche a pubblicare: nel 1954 “Etica e politica“, l’anno successivo comunicai alla stampa il testamento spirituale di Albert Einstein con il quale condannava apertamente la bomba atomica e la scienza che l’aveva generata. Poi fu la volta di “Perché non sono cristiano“, nel 1959 “La saggezza dell’Occidente“, nel 1963 “La vittoria disarmata“, nel 1967 “Crimini di guerra in Vietnam“, per concludere nei due anni successivi con la mia autobiografia in tre volumi. Ho lasciato questo mondo a Penrhyndeydraeth il 2 Febbraio 1970, a causa di una bronchite acuta, ben oltre quanto avessi previsto nel mio elogio funebre redatto nel 1936, nel quale ero convinto che sarei morto intorno al 1962. Non volli alcun funerale ma disposi che le mie ceneri venissero disperse sulle colline gallesi. Oggi sono considerato un fondatore della filosofia analitica; sono sempre stato un convinto pacifista, fautore del dialogo prima di tutto anche se con Hitler prima e Stalin poi dovetti ammettere che un confronto del genere era impossibile; riguardo alla religione mi sono sempre dichiarato filosoficamente agnostico e ateo nella vita pratica e venni attaccato e diffamato dagli ambienti religiosi cristiani, che mi definivano un propagandista antireligioso e antimorale, impegnato a difendere adulterio e omosessualità. Ho sempre sostenuto l’esistenza del connubio tra filosofia e scienza e ho sempre affermato che il mondo poggiava sulla base di quattro scienze diverse: fisica, fisiologia, psicologia e logica matematica. Ho speso la mia vita nella difesa dei miei ideali etico-politici, con grande coerenza e pagando di persona, stando sempre in prima linea contro ogni forma di sopruso, contro le ingiustizie del capitalismo come contro l’oppressione del bolscevismo, sono stato un indomito difensore dei diritti umani e un tenace sostenitore della libertà degli individui tanto da ispirare il Tribunale Russell istituito per denunciare le persecuzioni ideologiche, che si distinse per la lotta ai crimini di guerra ai danni del Vietnam. A voi dedico questo pensiero.

L’amore senza la conoscenza, o la conoscenza senza l’amore, non possono maturare una vita retta. Nel Medioevo, allorché la pestilenza mieteva vittime, santi uomini riunivano la popolazione nelle chiese per pregare, cosicché l’infezione si diffondeva con straordinaria rapidità fra le masse dei supplicanti. Ecco un esempio di amore senza conoscenza. La grande guerra è un esempio di conoscenza senza amore. In entrambi i casi le conseguenze furono disastrose. Benché amore e conoscenza siano necessari, l’amore è, in certo senso, più fondamentale perché spinge l’intelligenza a scoprire sempre nuovi modi di giovare ai propri simili. Le persone non intelligenti si accontenteranno di agire secondo quanto è stato loro detto, e potranno causare danno, proprio per la loro ingenua bontà. La medicina suffraga questa opinione: un bravo medico è più utile a un ammalato che non l’amico più devoto; e il progresso della scienza medica giova alla salute della comunità più che una ignorante filantropia. Tuttavia, anche al medico è necessaria la benevolenza, affinché tutti, e non soltanto i ricchi, possano approfittare delle scoperte scientifiche.

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