Festeggiamo questo mese Joseph Rudyard Kipling, lo scrittore che forse più di ogni altro mi ha iniziata alla curiosità per i paesi lontani. Temporalmente, dopo Rodari, è l’autore che ho più letto nella mia infanzia: a casa dei miei genitori conservo ancora le copie, straordinariamente “vissute”, di “Capitani coraggiosi”, “Kim” ed “Il libro della giungla” con le copertine coloratissime, dalla grafica un po’ démodée. Sono quelli che mia madre chiamava “libri di avventura”, e nonostante sia passato mezzo secolo (ho detto “mezzo secolo”….!?!?! ☹) dalla loro lettura, ho ancora bene in mente le loro trame: mi riferisco al cambiamento di Harvey Cheyne, che si trova a condividere la vita rude e faticosa dei marinai del peschereccio “We’re Here”, e questa esperienza lo trasformerà da ragazzino ricco e capriccioso in un uomo che scopre il valore della solidarietà e dell’amicizia. Ed ancora la vita avventurosa di Kim attraverso i paesaggi, la gente, gli odori dell’India. Ricordo infine lo stupore nel leggere la storia di Mowgli, allevato da un branco di lupi, e di Akela, Bagheera, Baloo…
In tempi recenti, in una bancarella di libri usati, ho scovato “Il libro delle bestie”, che non ho potuto fare a meno di acquistare per più motivi. Il primo è banale: sono una compratrice compulsiva di libri e lo sono ancora di più se li scovo su una bancarella. Il secondo: era un sacco di tempo (quasi mezzo secolo, appunto☹) che non leggevo niente di Kipling, se si esclude qualche poesia selezionata nelle serate di lettura del Circolo Culturale LaRocca (a proposito! Cercate su internet la sue poesia “SE” (If), letta dal leggendario Michael Caine. Tra l’altro questi versi furono tradotti e pubblicati nel dicembre 1916 su “L’Avanti!” da Antonio Gramsci). Il terzo, più che un motivo è una coincidenza… L’acquisto de “Il libro delle bestie” è stato effettuato nell’ottobre scorso, proprio mentre stavo preparando il compleanno di Gianni Rodari. Sfogliando le pagine e dando un’occhiata al testo mi sono detta che quello stile (credo il traduttore abbia fatto un eccellente lavoro) e quei contenuti non erano poi così lontani dallo stile del nostro Gianni nazionale per cui…. alla cassa!
LA GOLA DELLA BALENA
Una volta c’era nel mare una balena che mangiava i pesci. Mangiava il carpione e lo storione, il nasello e il pesce martello, il branzino e il delfino, i calamaretti e i gamberetti, la triglia e la conchiglia, e la flessuosa anguilla con sua figlia e tutta la sua famiglia con la coda a ronciglio. Tutti i pesci che poteva trovare in tutto il mare, essa li mangiava con la bocca…. così! Tanto che non era rimasto in tutto il mare che un solo pesciolino, un Pesciolino-pieno-d’astuzia che nuotava dietro l’orecchio destro della balena, per tenersi prudentemente fuor di tiro. Allora la balena si levò ritta sulla coda e disse:
– Ho fame. –
E il Pesciolino-pieno-d’astuzia disse con una vocina parimenti piena d’astuzia:
– Nobile e generoso cetaceo, hai mai mangiato l’uomo? –
– No, – disse la balena. – Com’è?
– Squisito! – disse il pesciolino-pieno-d’astuzia: –squisito ma nodoso.
– Allora portamene un paio, – disse la balena, e con la coda fece spumeggiare il mare.
– Uno per volta basta, – disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia. – Se tu nuoti fino al cinquantesimo grado di latitudine nord e quaranta di longitudine ovest, (questo è magìa) troverai, seduto su una zattera, in mezzo al mare, con nulla addosso eccetto un paio di calzoni di tela azzurra, un paio di bretelle (non dovete dimenticare le bretelle, cari miei,) e un coltello da tasca, un marinaio naufragato, che – è bene tu ne sia avvertito – è un uomo d’infinite-risorse-e-sagacità.
Così la balena nuotò e nuotò fino al grado cinquantesimo di latitudine nord e quarantesimo di longitudine ovest, più rapidamente che potè, e su una zattera, in mezzo al mare, con nulla indosso eccetto un paio di calzoni di tela azzurra, un paio di bretelle (dovete ricordare specialmente le bretelle, cari miei) e un coltello da tasca, essa vide un unico e solitario marinaio naufragato, coi piedi penzoloni nell’acqua. (Egli aveva avuto da sua madre il permesso di guazzare nell’acqua; altrimenti non l’avrebbe fatto, perchè era un uomo d’infinite-risorse-e sagacità).
Allora la balena aprì la bocca e la spalancò che quasi si toccava la coda, e inghiottì il marinaio naufragato, con tutta la zattera su cui sedeva, col suo paio di calzoni di tela azzurra, le bretelle (che non dovete dimenticare) e il coltello da tasca. Essa inghiottì ogni cosa nella credenza calda e buia dello stomaco, e poi si leccò le labbra….così, e girò tre volte sulla coda.
Ma il marinaio, che era un uomo di infinite-risorse-e sagacità, non appena si trovò nel capace e buio stomaco della balena, inciampò e saltò, urtò e calciò, schiamazzò e ballò, urlò e folleggiò, picchiò e morsicò, strisciò e grattò, scivolò e passeggiò, s’inginocchiò e s’alzò, strepitò e sospirò, s’insinuò e gironzò, e danzò balli alla marinara dove non doveva, e la balena si sentì veramente molto infelice. (Avete dimenticato le bretelle?)
Così disse al Pesciolino-pieno-d’astuzia:
– Quest’uomo è molto indigesto, e mi fa venire il singulto. Che cosa debbo fare?
– Digli di uscire, – disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia.
Così la balena gridò dal fondo della gola al marinaio naufragato:
– Esci fuori e comportati onestamente. M’hai messo il singulto.
– No!, no! – disse il marinaio. – Non così; in maniera molto diversa. Portami alla sponda natìa, ai bianchi scogli di Albione, e ci penserò.
E continuò a ballare più che mai.
– Faresti meglio a portarlo a casa – disse il Pesciolino-pieno-d’astuzia alla balena. – Io ti ho avvertito che è un uomo di infinite-risorse-e-sagacità.
Così la balena si mise a nuotare, a nuotare con le due natatoie e la coda, come meglio le permetteva il singulto; e finalmente vide la sponda nativa del marinaio e i bianchi scogli di Albione, si precipitò sulla spiaggia, spalancò tutta quanta la bocca e disse:
– Per Winchester, Ashuelot, Nasua, Keene e le stazioni della ferrovia di Fitchburg si cambia.
E mentre diceva “Fitch” il marinaio sbucava dalla bocca. Ma mentre la balena era stata occupata a nuotare, il marinaio, che era davvero una persona piena-di-infinite- risorse-e-sagacità, aveva preso un coltello da tasca e tagliata dalla zattera una cancellata a sbarre incrociate l’aveva saldamente legata con le bretelle (ora sapete perché non si dovevano dimenticare le bretelle) e poi l’aveva incastrata nella gola della balena, recitando il seguente distico, che, siccome non lo conoscete, qui vi trascrivo:
Con le sbarre della grata
nel mangiar t’ho moderata.
E saltò sulla ghiaia, e si diresse a casa della mamma, che gli aveva dato il permesso di guazzare nell’acqua; e s’ammogliò e d’allora in poi visse felicemente. Com’anche la balena.
Ma da quel giorno ad oggi, la grata in gola che essa non può nè espellere, nè inghiottire, le impedì di mangiar tutto quello che voleva, eccetto i minuti pesciolini, ed è questa la ragione perchè le balene non mangiano più uomini, bambine e bambini.
Il Pesciolino-pieno-d’astuzia se la svignò e si nascose sotto la soglia dell’Equatore. Temeva che la balena fosse grandemente adirata con lui. Il marinaio portò a casa il coltello da tasca. Aveva indosso soltanto il paio di calzoni di tela azzurra quando s’era messo a camminare sulla ghiaia. Le bretelle l’aveva lasciate strette alla cancellata; e questa è la fine di questo racconto.
LA PELLE DEL RINOCERONTE
Viveva una volta su un’isola deserta delle sponde del Mar Rosso, un Persiano con un berretto che rifletteva i raggi del sole con splendore più che orientale. E il Persiano se ne stava vicino al Mar Rosso con nient’altro che il cappello, il coltello e un fornello di quelli che voi non dovete toccare per non scottarvi. Un giorno prese farina e acqua e uva passa e ribes e zucchero, e altre leccornie, e si fece un panettone che era un metro alto e due metri lungo. Era davvero un Commestibile Sopraffino, ed egli lo mise nel fornello, perchè gli era permesso di adoperarlo, e lo fece cuocere a punto, finchè non fu tutto bruno e non odorò con molto sentimento. Ma quando stava per mangiarlo, ecco che sulla spiaggia dall’Interno, Interamente Disabitato, apparve un Rinoceronte con un corno sul naso, due occhi da porco, e poche maniere. In quei giorni la pelle del Rinoceronte era tutta attillata; non aveva pieghe e rughe in nessuna parte: egli aveva l’aspetto preciso di un Rinoceronte dell’Arca di Noè; soltanto era molto più grosso. A ogni modo egli non aveva maniere allora, non ne ha ora e non ne avrà mai.
Egli urlò: “Come?” e il Persiano abbandonò il panettone e s’arrampicò sulla cima d’una palma con niente altro che il berretto, dal quale i raggi del sole erano sempre riflessi con splendore più che orientale. E il Rinoceronte rovesciò il fornello col naso, e il panettone rotolò sulla sabbia: quindi egli infisse il panettone nel corno che ha sul naso, e se lo mangiò, e se n’andò agitando la coda, nell’Interno Assolutamente Desolato e Disabitato, che mena alle isole di Mazanderan, Socotra e i promontori del maggiore Equinozio. Allora il Persiano discese dalla palma e si mise il fornello sulle gambe e recitò il seguente “sloka” che, se non lo sapete, mi faccio un dovere di riferirvi:
«A chi prende il panettone
di persiana imbandigione
venga male nel groppone».
E ve n’era più di quanto possiate immaginare.
Perchè cinque settimane dopo scoppiò un gran caldo nel Mar Rosso, e tutti si spogliarono degli abiti che indossavano. Il Persiano si tolse il cappello; il Rinoceronte si spogliò della pelle e se la mise sulle spalle, andando alla spiaggia a farsi un bagno. Allora la pelle s’abbottonava al di sotto con tre bottoni e pareva un paletot.
Egli non disse nulla del panettone del Persiano, perché se l’era mangiato tutto e non aveva allora maniere, non ne ha ora e non ne avrà mai. Avanzò dritto nell’acqua e sollevò delle bolle col naso, e la pelle l’aveva lasciata sulla spiaggia.
Allora il Persiano s’avvicinò e trovò la pelle e rise d’un riso che gli corse due volte intorno alla faccia. Poi ballò tre volte intorno alla pelle e si fregò le mani. Poi andò al suo campo, e là si riempì il cappello di briciole di panettone, perchè il Persiano non mangiava altro che panettone, e non spazzava mai il suo campo. Poi prese la pelle del Rinoceronte e la scosse e la fregò e la soffregò, e poi la empi il più che potè di briciole di panettone, vecchie, secche, stantie e solleticanti e d’un po’ d’uva passa bruciata. Quindi s’arrampicò in vetta alla palma, e aspettò che il Rinoceronte uscisse dall’acqua per rimettersi la pelle.
E il Rinoceronte uscì e si rimise la pelle, se l’abbottonò coi tre bottoni, e sentì un forte prurito, come avviene con le briciole di panettone a letto. Allora volle grattarsi; ma fu peggio; e quindi si sdraiò sulla sabbia, e si rotolò e si rotolò, e più si rotolava, e più le briciole di panettone gli davano prurito. Allora corse alla palma, e si sfregò e si sfregò e si sfregò contro il tronco. E si sfregò tanto e così forte, che gli si fece una gran piega sulla spalla e un’altra al disotto, dov’erano i bottoni, che già erano saltati, e si fece delle altre pieghe sulle gambe. E si guastò il carattere; ma questo fu perfettamente indifferente per le briciole di panettone, che erano rimaste sotto la pelle e gli davano prurito. Così egli se n’andò a casa, tristo, iroso e orribilmente graffiato. E da quel giorno a oggi ogni Rinoceronte ha un gran brutto carattere e grandi pieghe alla pelle, per le briciole di panettone che gli fan prurito.
Ma il Persiano discese dalla palma, portando il berretto, da cui i raggi del sole erano riflessi con splendore più che orientale, fece un pacco del suo fornello e se n’andò nella direzione di Orotavo, Arnygdala, gli altipiani di Anandarivo e le paludi di Senafet.
Joseph Rudyard Kipling nacque a Mumbai il 30 dicembre 1865 da genitori inglesi: la madre proveniva da una famiglia dell’alta borghesia mentre il padre era curatore del Museo di Lahore, oltre che insegnante di scultura architettonica. Venne educato in Inghilterra, dove fece ritorno – in casa di parenti – all’età di sei anni, assieme alla sorella Trix. I giovani Kipling studiarono in una scuola di rigida tradizione puritana, nella quale fu loro impartita una corretta educazione inglese. Purtroppo la famiglia ospitante si rivelò eccessivamente severa con i due ragazzi, in particolar modo con Rudyard, a cui furono inflitte punizioni fisiche e psicologiche che compromisero la sua salute e la vista. Finalmente, nel 1877, la madre tornò in Inghilterra per prendersi cura dei due ragazzi, ma le profonde ferite patite in quel periodo non si rimargineranno mai più e vennero descritte nelle prime opere dell’autore, assieme alle violenze ed alle repressioni subite più tardi, nel 1878, quando entrò nello United Service College di Westward Ho. Dal 1882 al 1889 soggiornò in India, dove lavorò prima come redattore della “Civil and Military Gazette” di Lahore e successivamente come viceredattore del “The Pioneer” di Allahabad, il più importante quotidiano indiano. Sono questi gli anni nei quali la sua carriera di scrittore prese avvio (“Racconti semplici dalle colline”, “Il risciò fantasma e altre storie fantastiche”, “In bianco e nero” …) anche se vide però il culmine del successo una volta rientrato in Europa. Dopo il matrimonio con Caroline Starr Balestrier, nel 1892, pubblicò la prima raccolta di poesie “Le ballate di caserma”, che aggiunse ulteriore apprezzamento e popolarità allo scrittore. Dal 1892 al 1897 si stabilì nel Vermont, terra della moglie, dove si dedicò con grande passione alla scrittura e dove nacquero le due figlie Josephine ed Elsie. Nel 1894 due città del Michigan vennero chiamate in suo onore “Kipling” e “Rudyard”. Al rientro in Inghilterra diventò padre per la terza volta del figlio John. Dal 1900 al 1908 visse in Sudafrica prima come corrispondente di guerra, poi, al termine del conflitto anglo-boero, come giornalista di pace, senza mai interrompere la sua attività di scrittore, piuttosto prolifica in questi anni. Nel 1907 gli venne conferito il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: «In considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo». Dopo il rientro in patria ed una deludente esperienza politica nel Partito Conservatore, allo scoppio della prima guerra mondiale (che gli strappò nel 1916 il figlio John) svolse nuovamente l’incarico di corrispondente di guerra. Da questo periodo e fino al 1936, anno della sua morte, scrisse ulteriori 17 opere, nonostante la prematura scomparsa dell’amato figlio abbia in parte inaridito la sua vena narrativa.
di Silvia Corsinovi
Nessuna risposta.