In maggio abbiamo festeggiato il fecondo romanziere francese Honoré de Balzac, del quale in tempi recenti ho letto, incuriosita dal titolo, il “Trattato della vita elegante”, pubblicato nel 1830 a puntate su “Le Monde”. E’ stata una lettura oltremodo interessante perché l’autore, attraverso un manuale/saggio che codifica precetti e norme per creare un proprio stile ricercato ed elegante, ci dice molto di più sulla società del suo tempo, della quale era un acuto osservatore. A mio parere è questo un testo che non esaurisce il suo messaggio in un’unica lettura, ma che invita ad essere ripreso più volte in mano, offrendo spunti di riflessione che possono rivelarsi straordinariamente attuali.
L’opera di Balzac di cui voglio parlarvi è però il romanzo “Eugenie Grandet” del 1833 – da molti considerato il suo capolavoro – e dal quale nel 1947 il regista Mario Soldati trasse ispirazione per realizzare l’italianizzato “Eugenia Grandet”, interpretato da Alida Valli. E’ dedicato dall’autore a “Maria”, nome che pare si riferisca alla scrittrice Maria Du Fresnay, amante di Honoré de Balzac, dalla quale ebbe la figlia Marie-Caroline Du Fresnay. Questo romanzo fa parte della sezione “Scene della vita di provincia” de “La comédie humaine”, un gigantesco progetto, un macrotesto che comprende novelle, saggi e romanzi attraverso i quali viene tratteggiato un affresco della società francese dell’Ottocento. Di “Eugenie Grandet” ho letto la versione tradotta nel 1930 da Grazia Deledda, che costituisce anche la sua unica esperienza da traduttrice.
La storia si svolge nel periodo storico della Restaurazione a Saumur, cittadina dell’ovest della Francia, dove vive la famiglia Grandet. Père Grandet, commerciante di botti, arricchitosi in breve tempo grazie ad una straordinaria capacità imprenditoriale ed al suo fiuto per gli affari, è un uomo patologicamente avaro, parsimonioso al limite della follia, che impone a moglie e figlia uno stile di vita più che modesto. Mentre la ricchezza dei Grandet aumenta a dismisura di mese in mese, la deliziosa figlia Eugenie – futura ricchissima ereditiera – viene contesa da due famiglie del luogo, i Des Grassins ed i Cruchot. Durante la festa di compleanno di Eugenie giunge però a sorpresa Charles, figlio del fratello maggiore di Père Grandet, che si era tolto la vita in seguito al fallimento della propria azienda, travolta da oltre quattro milioni di debiti. Il suicida raccomandava in una lettera al fratello di prendersi cura del figlio ed aiutarlo a cercare fortuna nelle Indie. Charles si trattiene per un breve periodo ospite dagli zii e, secondo copione, la dolce Eugenie inizia a provare un profondo affetto per il cugino, che sembra ricambiare il sentimento. Questo scenario non era però contemplato nei programmi di Père Grandet, che decide di stroncare sul nascere il rapporto, facilitando la partenza del nipote. Dal canto suo Eugenie dona a Charles tutto il suo oro, ricevendo in cambio un cofanetto che custodiva oggetti ricevuti in eredità dalla madre ed una tiepida promessa d’amore. Dopo la partenza di Charles la vita di Eugenie trascorre nell’attesa – purtroppo vana – di un segno, di una lettera da parte dell’amato cugino. Intanto i suoi genitori, prima la madre, poi Père Grandet, passano a miglior vita e la sua ricchezza aumenta, così come la sua malinconia. Charles, nel frattempo, accumulava un cospicuo patrimonio dall’altra parte del mondo, commerciando indifferentemente in merci ed esseri umani, e questa febbrile attività fece sbiadire, fino a cancellare definitivamente, l’interesse per la generosa Eugenie. Dopo anni di silenzio Charles rientra in patria, persuaso a sposare la scialba figlia del duca d’Aubrion, che sarebbe stata il suo lasciapassare per entrare nel mondo dorato della nobiltà e della politica francese. Eugenie rivede in lui una copia di suo padre Fèlix e, oramai persa ogni illusione sull’amore, con estrema signorilità e dignità salda tutti i creditori dello zio e inaspettatamente concede la sua mano – imponendo alcune “condizioni”… – al signor De Bonfons.
Honorè de Balzac, considerato l’ispiratore del cosiddetto “romanzo realista francese”, nacque il 20 maggio 1799 a Tours in una famiglia della piccola borghesia. La sua infanzia fu segnata dall’assoluta mancanza di armonia fra i genitori ed il piccolo Honorè crebbe con un temperamento malinconico, incline alla solitudine. Fu uno studente mediocre prima presso gli Oratoriani di Vendôme ed infine a Parigi, dove conseguì il diploma di bachelier en droit. Iniziò a cimentarsi intorno i venti anni nell’attività letteraria, purtroppo con scarso successo. Qualche anno dopo iniziò una relazione con Louise-Antoinette-Laure Hinner, di oltre venti anni più grande di lui che lo stimolò a perseverare nella scrittura ed a tentare qualche investimento in attività che lo indebiteranno fino alla fine dei suoi giorni. Di lì a poco, in effetti, il romanzo “Gli Sciuani” gli regalò un certo successo e lo avviò verso una frenetica attività letteraria che lo portò a scrivere in una quindicina di anni numerosi racconti, articoli, circa novanta romanzi e saggi che confluirono, come detto, ne “La comédie humaine”. Ebbe numerose relazioni sentimentali, la più importante delle quali fu senza dubbio quella con la contessa polacca Évelyne Hanska, che sposò pochi mesi prima della morte dello scrittore, che avvenne a Parigi il 18 agosto 1850.
di Silvia Corsinovi
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