Lo scrittore di questo mese è Hermann Hesse, un autore non facile, propenso alla solitudine e all’introspezione, convinto pacifista ma anche uno degli autori che amo di più. Ne apprezzo sia le poesie che la narrativa perché è un artista che, attraverso le parole, riesce non solo ad emozionarmi e a farmi riflettere ma anche a trascinarmi nel racconto, a trasmettermi emozioni attraverso i suoi versi. Riesce a coinvolgermi e per me questo è fondamentale sia in letteratura come in qualsiasi altra opera d’arte.
Hermann Hesse è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1946 per una produzione letteraria, tra prosa e poesia, molto vasta che citarla tutta porterebbe ad un elenco senza fine, quindi mi limiterò a ricordare i titoli dei suoi romanzi più significativi e noti. Dal primo “Peter Camenzind” che, grazie al successo riscontrato, gli permise di dedicarsi completamente alla letteratura, lasciando il lavoro di bibliotecario, a “Siddharta” considerato il suo capolavoro. Poi “Demian” un racconto fortemente autobiografico sulla sua difficile adolescenza, sempre alla ricerca di qualcosa o di se stesso. “Il lupo della steppa” forse uno dei suoi romanzi più affascinanti e molti altri ancora, compreso “Il gioco delle perle di vetro” il suo ultimo capolavoro che gli valse il Nobel, oltre ovviamente alla molte raccolte di poesie che vi invito a leggere e delle quali propongo un assaggio.
Frammenti
Ma la cosa migliore non furono quei baci
e neppure le passeggiate serali, o i nostri segreti.
La cosa migliore era la forza che quell’Amore mi dava,
la forza lieta di vivere e di lottare per lei,
di camminare sull’acqua e sul fuoco.
Potersi buttare, per un istante,
poter sacrificare degli anni
per il sorriso di una donna:
questa sì che è felicità, e io non l’ho perduta.
Il romanzo che ho scelto per voi è “Narciso e Boccadoro”, forse considerato meno capolavoro rispetto agli altri ma che a me è piaciuto molto per le tematiche: l’amicizia e il viaggio interiore verso la conoscenza e l’accettazione di se stessi. La storia è ambientata nel Medioevo, è un romanzo simbolico, incentrato sul dissidio tra natura e spirito, impersonati dalle figure dei due protagonisti: Narciso il pensatore e Boccadoro l’artista. Iniziano insieme il loro viaggio nella vita nel convento di Mariabronn. Narciso è l’allievo promettente, d’intelligenza eccezionale, destinato a diventare un monaco dotto, maturo, introspettivo, dedito alla conoscenza contemplativa, lontano dal mondo eppure capace di leggere e intuire profondamente l’animo umano. Boccadoro è il suo alter ego, è un girovago libero che sa assaporare la vita, la strada, l’arte e l’amore. Pubblicato nel 1930, questo romanzo è il racconto della loro amicizia che inizia quando Boccadoro viene inviato al monastero dal severissimo padre, perché possa ricevere un’educazione rigida, adeguata che corregga lo spirito mondano che teme il figlio abbia ereditato dalla madre, morta prematuramente. Boccadoro è tormentato dalla figura materna, dalla sua mancanza e Narciso, che ne raccoglie le confidenze, capisce che l’amico non è portato per la vita religiosa: è un artista e quello è il suo destino. Anche Boccadoro, incoraggiato dall’amico e dal suo primo incontro amoroso con una contadina, se ne convince e decide di lasciare il monastero per iniziare una vita errabonda, un cammino che non è solo fisico ma soprattutto interiore e alla ricerca della figura materna. Nel suo peregrinare Boccadoro, oltre al suo talento artistico, mette in risalto anche la sua capacità di provare emozioni, con la quale riesce a conquistare le donne facilmente, impelagandosi in diverse avventure amorose però nessuna riesce a fermarlo nella sua ricerca della figura materna da riprodurre nelle proprie opere. Nemmeno quando diventa allievo di uno stimato maestro, Boccadoro trova pace, così quando gli viene offerta la possibilità di sposarne la bella figlia e rilevarne la bottega, il nostro giovane artista decide di riprendere il cammino interrotto, dopo aver appreso dal suo maestro tutti i segreti del mestiere e avere realizzato una statua di San Giovanni con l’effige dell’amico Narciso. Dopo varie peripezie , Boccadoro si innamora di Agnese, amante del governatore ma, scoperta la tresca, il nostro artista viene condannato a morte. Proprio in questa occasione i due amici si ritrovano: Narciso intercede per salvare la vita a Boccadoro e lo accoglie come scultore al monastero. L’animo inquieto dell’artista però non trova pace, ancora ossessionato dal pensiero di dare forma al volto della madre, volto che ha sempre ricercato in tutte le donne che ha amato. E così Boccadoro si rimette di nuovo in cammino, torna da Agnese che lo rifiuta perché oramai è vecchio e stanco. La delusione gli provoca una brutta caduta da cavallo che ne aggrava la salute e che lo costringerà a tornare al monastero da Narciso, dove morirà. Per tutta la sua vita, Boccadoro insegue il sogno di cogliere l’immagine della madre nella natura come nelle donne e in tutto ciò che incontra sul suo cammino, cercando di rappresentarla nelle sue opere, riuscendoci solo alla fine, quando il rifiuto di Agnese gli spezza il cuore. Ora può morire sereno. Questa la trama ma ciò che rimane, o meglio, ciò che è rimasto in me, oltre ai bei dialoghi tra i due protagonisti, è anche questo conflitto tra spiritualità e sensualità che porta i due amici ad una continua e tormentata ricerca della verità, perché nessuno dei due riesce a rinunciare a ciò che è: Narciso è spirito, Boccadoro è sensualità. La pace interiore entrambi la raggiungeranno quando riusciranno ad accettarsi per ciò che sono. Questa è l’unica verità e è il messaggio che Hermann Hesse vuole trasmetterci, pensate a quanto sia attuale oggi! A me, questo romanzo piace molto anche per il concetto di amicizia che Hesse ci trasmette attraverso le parole pronunciate da Narciso verso l’amico: «Non è il nostro compito quello d’avvicinarci, così come non s’avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.»
La biografia di Hermann Hesse, scrittore di lingua tedesca ma di nazionalità svizzera, è ben riassunta da lui stesso nelle sue annotazioni biografiche: “Nacqui a Calw, nella Foresta Nera, il 2 Luglio 1877, in una religiosa famiglia protestante: i miei parenti e i miei antenati furono religiosi, medici, missionari, e il fatto che la famiglia provenisse da nazioni diverse mi impedì di provare sentimenti nazionalistici”. Destinato dai genitori allo studio della teologia, insofferente ad ogni disciplina manifestò ben presto uno spirito ribelle, peraltro spesso testimoniato nei suoi romanzi. Un’infanzia difficile e un’adolescenza passata in un istituto di formazione, lo portano a soffrire di gravi stati depressivi che culmineranno in un tentativo di suicidio fallito solo per l’inceppamento del revolver. Non terminerà gli studi ma fra una crisi e un’altra, si dedicherà a vari mestieri, iniziando nel frattempo a pubblicare le sue prime raccolte di poesie “Canti romantici” e “Un’ora dopo la mezzanotte” che mostrano già quel carattere autobiografico che contraddistinguerà tutta la sua opera. Nel 1901 visitò l’Italia innamorandosi della Toscana e dell’Umbria al punto che scrisse un libretto su San Francesco d’Assisi. Nel 1904 la svolta decisiva con la pubblicazione del romanzo “Peter Camenzind”, il suo primo grande successo che gli permetterà di lasciare il lavoro di libraio per dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Il denaro guadagnato gli permise anche di mettere su famiglia. Nonostante il successo anche delle pubblicazioni successive, l’irrequietezza portò Hesse a partire per l’India per ripercorrere le orme del padre e del nonno; al ritorno si trasferì in Svizzera con moglie e figli ma lei, dopo la malattia di uno dei bambini, iniziò a manifestare sintomi di psicopatia che la porteranno al ricovero in una casa di cura e i figli messi a pensione. Hesse, rimasto solo, decise di stabilirsi definitivamente a Montagnola, assumendo la cittadinanza svizzera. Lo scoppio della I° guerra mondiale porterà nello scrittore una profonda scossa morale e spirituale che influenzerà tutte le sue opere successive, centrate su una continua protesta contro il militarismo e i nazionalismi esasperati e causerà la rottura definitiva con la Germania. Da questa nuova maturità usciranno le sue opere migliori, fino all’ultimo capolavoro “Il giorno delle perle di vetro” che gli portò nel 1946 il Nobel. Morirà nella sua Montagnola il 9 agosto 1962 assistito fino alla fine dalla sua terza e ultima moglie. Di lui Thomas Mann che fu amico e estimatore scrisse che quanto lo ammirava come artista, altrettanto lo amava come persona, coi suoi modi gentili e pensosi, lo sguardo profondo, un fascino che gli aveva procurato sempre, soprattutto fra i giovani, numerosi amici e seguaci.
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