A volte capita di avere nella libreria di casa libri che da anni stanno lì in attesa di essere letti. Poi un giorno, un trasloco e la necessità di riadattare gli scaffali te li fa incontrare di nuovo destando la curiosità sopita. Se poi la coincidenza vuole che tra gli autori nati ad Aprile c’è anche quello del romanzo dimenticato per anni, il gioco è fatto, la curiosità si ridesta del tutto. E’ quanto è accaduto a me con Riccardo Bacchelli e il suo romanzo “Il diavolo al Pontelungo”. Di Bacchelli sapevo proprio poco o nulla, nemmeno lo associavo alla famosa “Legge Bacchelli” della quale più o meno conosco il contenuto e la genesi. Di certo non conoscevo le opere di questo Autore e tanto meno questo unico suo romanzo che ho in casa. Bene, mi sono detta, è il momento di leggerlo. Devo ammettere che, soprattutto all’inizio, non è stato facile, un po’ per un linguaggio che ne rallenta la lettura, poi anche perché occorre rievocare un po’ di storia, questo per il fatto che “Il diavolo al Pontelungo” è un romanzo storico pubblicato nel 1927 per la prima volta ma rielaborato molte volte dall’autore fino alla stesura definitiva del 1957. E’ il suo primo grande romanzo storico e quello che probabilmente ne ha consacrato la fama come scrittore. Il titolo viene spiegato nel “Preludio”: un prete incontra il Diavolo, che si era travestito per non farsi riconoscere, in località Pontelungo ma il parroco non si fa ingannare e intuendo che il losco figuro si trovi lì per danneggiare le campagne e i raccolti, lo smaschera suonando le campane per allertare i contadini, riuscendo a farlo scappare e salvando la situazione. Dopo aver letto il “Preludio” sono rimasta alquanto interdetta visto che nella prefazione si parlava che il protagonista delle vicende narrate nel romanzo era il rivoluzionario anarchico russo Michail Bakunin, quindi quell’incontro del prete col Diavolo avvenuto molto tempo prima, cosa c’entrava con tutto il resto? Lo si scoprirà alla fine ma andiamo per ordine. Intanto come dicevo il protagonista è Michail Bakunin, rivoluzionario anarchico russo realmente esistito, del quale Bacchelli ci racconta il periodo della sua esistenza che va dall’estate del 1873 ai moti anarchici della Romagna nell’estate del 1874. Bakunin giunge a Locarno in Svizzera con la famiglia e il ricco rivoluzionario italiano Carlo Cafiero con il quale acquista una disastrata tenuta agricola, “La Baronata”, con l’intento di far credere alle autorità il loro ritiro dall’attività rivoluzionaria a favore di una tranquilla vita da ricchi proprietari terrieri, mirando invece ad autofinanziare la rivoluzione e accogliere altri esuli politici in Svizzera. In realtà “La Baronata” si rivelerà un totale fallimento economico a causa dell’incapacità imprenditoriale dei due amici ma anche per la loro smisurata generosità. A “La Baronata” oltre a Cafiero, Bakunin e la famiglia di quest’ultimo incontriamo diversi personaggi singolari tra i quali Bacchelli delinea i ritratti di contadini ignoranti ma astuti come Fausto, di artigiani avidi come Pesce in Barile ma anche degli esuli che vi trovano generosa ospitalità come l’anarchico lituano Ross, che lo zar sceglie di graziare al posto del fratello; lo spagnolo Scevola che propugna l’estinzione del genere umano oramai ridotto ad uno stato sterile; O25 misterioso polacco che odia i Russi per il sangue versato nel 1863 e che si alleerà alla moglie di Cafiero; il fanatico comunardo francese Marotteau; l’inglese John Willcox convinto difensore delle conquiste sociale delle Trade Unions e che condivide con Marotteau l’hobby di scoprire se i pesci di notte dormano; Salzana italiano con una grande avversione per i preti e la grande passione per le donne; Natta pure italiano ma che invece ama il vino e odia la miseria. In questa “Corte dei Miracoli” costosissima e senza fondo dove finiscono i denari di Cafiero, giunge la moglie di quest’ultimo, Olimpia che sdegnata dai costi e dagli sprechi della tenuta, appoggiata dall’insoddisfatto e sempre critico O25, trama affinché il marito rientri in possesso de “La Baronata” che all’atto dell’acquisto era stata intestata a Bakunin. L’amicizia tra i due rivoluzionari, nonostante l’alta considerazione e ammirazione che Cafiero nutre per il grande Bakunin, finisce e con essa la prospettiva di trasformare la tenuta nel centro di raccolta e ideazione della futura rivoluzione. Bakunin parte con il solo Ross alla volta di Bologna per dare fuoco alla miccia della insurrezione anarchico-socialista e qui Bacchelli mi ha risvegliato nella mente la figura del Don Chisciotte di Cervantes, perché questo mi è sembrato questo vecchio rivoluzionario sognatore e lo sviluppo della storia non ha fatto che rafforzare questa associazione di immagini. A Bologna il protagonista giunge sotto le mentite spoglie di Conte di Armfeld e Ross è il suo attendente. Qui li attendono alcuni rivoluzionari tra i quali Anna Kuliscioff e Andrea Costa, entrambi reali ma anche personaggi surreali come Sandrone barrocciaio dal cuore d’oro che rimane affascinato da Bakunin, Alceste Faggioli generoso e votato alla morte, Abdon Negri eroico ma anche arrogante. Alla narrazione della preparazione dell’insurrezione che vede un Bakunin che definirei quasi folle nel disegnare piani di battaglia che definire surreali è dir poco, fabbricare bombe giorno e notte senza mai dormire, si alternano “siparietti” anche divertenti come quella che vede coinvolti il Bullo e la Bulla o la scena del carretto dei cani. In ogni caso la seconda parte del romanzo è incentrata sul tentativo insurrezionale preparato con un tale dilettantismo che non può che fallire miseramente, tanto che Costa e gli altri partecipanti vengono arrestati. Bakunin, dopo un aver tentato il suicidio, riesce a fuggire travestito da prete (esilarante la scena in cui deve salire sulla carrozza che lo porterà in salvo) e a raggiungere la salvezza a Zurigo. Ma cosa c’entra tutto questo con il Diavolo e il prete del preludio? Lo scopriremo nell’ultimo capitolo, “Epilogo dell’esperienza” nel discorso che un prete tiene ai fedeli sulle vicende insurrezionali appena avvenute e che vi lascio leggere da soli se riuscirete a superare le iniziali difficoltà di lettura così come ho fatto io. Occorre tener presente che la struttura della narrazione si rifà a quella dei romanzi dell’Ottocento e che tratta di vicende storiche realmente accadute, anche se imbastite con un forte senso di ironia, tale che destò l’irritazione di uno dei discendenti di Bakunin stesso. Bacchelli ricostruisce con dovizia di particolari vicende e personaggi realmente esistiti, anche se sono state rilevate alcune inesattezze storiche, e cala sul volto del protagonista una maschera tragicomica da idealista grottesco, si pensi alla reazione dei Bolognesi al tentativo di insurrezione fallito, preoccupati e indignati dal fatto che questo “atto criminale” li obbligherà a rinunciare a vedere i fuochi pirotecnici, descritta con ironia ma che rende benissimo l’idea del sentire di un’Italia appena unita ma ancora molto divisa. Da questo romanzo nel 1982 venne tratta la sceneggiatura per una miniserie TV.
RICCARDO BACCHELLI è nato a Bologna il 19 Aprile 1891. Il padre Giuseppe era uno stimato avvocato di idee liberali, la madre era di origini tedesche. Dopo aver frequentato il Ginnasio e l’Università di Bologna senza completare gli studi in lettere, si arruolò volontario nella I° Guerra Mondiale. Il suo primo romanzo “Il filo meraviglioso di Ludovico Ciò” era già uscito nel 1911 e tre anni dopo era toccato ai “Poemi lirici”. Alla fine della guerra iniziò a dedicarsi al teatro con “Amleto” che pubblicò nel 1923, seguito da “Lo sa il tonno”, una favola di genere filosofico-morale considerata una delle punte di diamante della sua produzione. Nel 1926 si trasferì a Milano dove iniziò una convivenza con Ada Fochessati, già sposata e madre di un figlio e con la quale si sposerà molti anni dopo quasi settantenne. Nel 1927 uscì “Il diavolo al Pontelungo” che tanto piacque a Mussolini che iniziò ad assillarlo affinché aderisse al regime fascista, cosa che poi fece su consiglio di Benedetto Croce che gli aveva promesso che avrebbe vi avrebbe aderito anche lui ma non avvenne mai. Si susseguirono tutta una serie di romanzi fino a quella che è stata l’opera che gli diede maggiore popolarità, il ciclo di romanzi “Il mulino del Po”, frutto di un immane lavoro di ricerca sulla cultura, la storia, la vita lungo le rive ferraresi del Po dall’epoca napoleonica fino alla I° Guerra Mondiale e dal quale è stato tratto uno sceneggiato televisivo e un film diretto da Alberto Lattuada. Prolifico sul piano della narrativa, lo fu altrettanto per quanto riguarda la saggistica e l’opera lirica e teatrale. Ha fatto parte dell’Accademia d’Italia, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dell’Accademia della Crusca e dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, nonché Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e Grande Ufficiale. Negli ultimi anni della sua vita le condizioni di salute peggiorarono fino a renderlo cieco e inabile condizionando anche la sua situazione economica. Per aiutarlo il Comune di Bologna nel 1984 acquistò le sue carte e la sua biblioteca. Dopo una lunga degenza in ospedale a carico del Comune di Milano, diventata troppo onerosa, fu costretto a trasferisi a Monza dove morì l’8 Ottobre 1985, assistito fino all’ultimo dalla moglie Ada che lo seguirà un anno dopo. Proprio a causa della situazione di indigenza in cui si era trovato Riccardo Bacchelli, nonostante fosse stato un illustre artista, l’8 Agosto 1985 venne promulgata dal Governo italiano quella che prese il nome proprio di “Legge Bacchelli” con la quale veniva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un fondo a favore di personalità che versassero in stato di necessità economica e che potevano così usufruire di un vitalizio che gli consentisse una vita decorosa. Il Presidente del Consiglio, previa comunicazione al Parlamento, può assegnare il vitalizio ricorrendo tutti i requisiti previsti dalla Legge stessa. Pur avendo dato il nome a questa Legge, Bacchelli non riuscì ad usufruirne perché morì due mesi dopo l’approvazione. Ne hanno usufruito tra i tanti poeti come Dario Bellezza e Alda Merini, il cantante Joe Sentieri, l’attrice Alida Valli, l’attore Franco Citti, la prima annunciatrice tv Fulvia Colombo, l’eroe di guerra Giorgio Perlasca, l’attore Salvo Randone, il campione Zeno Colò, il cantautore Umberto Bindi mentre Gino Bartali lo rifiutò pur essendo in difficoltà come pure Laura Antonelli e Franco Califano.
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