Le gioie più intense della vita nascono quando si può procurare la felicità degli altri, in un anticipo del Cielo. Va ricordata la felice scena del film Il pranzo di Babette, dove la generosa cuoca riceve un abbraccio riconoscente e un elogio: «Come delizierai gli angeli!». È dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere. Tale gioia, effetto dell’amore fraterno, non è quella della vanità di chi guarda sé stesso, ma quella di chi ama e si compiace del bene dell’amato, che si riversa nell’altro e diventa fecondo in lui
Questo è un passo dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” di Papa Francesco dov’è citato un film tratto da un racconto dell’autrice di cui celebriamo il compleanno proprio in questi giorni, Karen Christentze Dinesen, conosciuta dai più come Karen Blixen.
Sono molto grata a Karen Blixen, perché mi sono sempre detta che la curiosità prima e l’amore poi che da tanti anni coltivo per il Continente Nero, sia in parte merito suo. Mi riferisco alla lettura, fatta in età giovanile, de “La mia Africa”, il reportage autobiografico che racconta di paesaggi straordinari, ma soprattutto di gente, i Kikuyu, i Somali, i Masai – e penso a Kamante, a Esa, a Farah – che l’autrice ha conosciuto, frequentato e rispettato profondamente durante gli oltre diciassette anni trascorsi in Kenya.
Durante tutte le mie permanenze in Africa, negli anni successivi, ho sempre cercato le “lezioni di silenzio”, i colori, gli odori, la natura selvaggia raccontati dalla Blixen, che descriveva il continente africano come il luogo più vicino a Dio per la sua anima incontaminata.
Perfino J.D. Salinger al suo giovane Holden fa dire che “La mia Africa” è uno di quei libri “…che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira…”.
Di Karen Blixen ho selezionato il racconto “Il pranzo di Babette”, scritto intorno gli anni 50 del ‘900, contenuto nella raccolta “Capricci del destino”, che ha ispirato nel 1987 il pluripremiato omonimo film del regista danese Gabriel Axel (Oscar nel 1988 come miglior film straniero e numerosi altri riconoscimenti).
E’ un racconto delizioso, poetico, il cui incipit rimanda ad una fiaba: “In Norvegia c’è un fiordo – un braccio di mare lungo e stretto chiuso tra alte montagne – che si chiama Berlevaag Fjord. AI piedi di quelle montagne il paese di Berlevaag sembra un paese in miniatura, composto da casine di legno tinte di grigio, di giallo, di rosa e di tanti altri colori……”. Seppure breve, i temi trattati sono molteplici: il talento, l’importanza della convivialità, la generosità, il saper donare, ma anche la difficoltà del saper ricevere.
La storia prende avvio a fine ‘800 nel minuscolo Berlevaag, dove viveva una piccolissima comunità luterana fondata da un decano, i cui rigorosi insegnamenti avevano cancellato dalla vita degli abitanti tutto ciò che non fosse strettamente riconducibile alla spiritualità ed all’aspirazione alla nuova Gerusalemme. E così erano state educate anche le figlie del decano, Martina e Filippa, che portavano come uno stigma i nomi di Lutero e Melantone, ed avevano bandito dalla loro vita ogni piacere che potesse distoglierle dai precetti paterni.
Quando in gioventù le due sorelle avevano avuto l’opportunità di incontrare l’amore (una con il giovane ufficiale Loewenhielm, l’altra con il cantante francese Achille Papin) lo avevano ignorato e adesso la loro vita era completamente dedicata agli altri membri della comunità, donne ed uomini anziani, che continuavano a vivere secondo le regole impartite dalla figura carismatica del decano, ma che, nel corso degli anni, si erano un po’ “induriti”, sviluppando piccoli rancori e malumori.
Improvvisamente nel piccolo mondo di Martina e Filippa irrompe Babette Hersant, una famosa cuoca parigina, che ha da poco perso il figlio ed il marito nei moti della Comune. Una lettera di Achille Papin convince le sorelle (estremamente diffidenti nei confronti dei costumi francesi) ad ospitare Babette, che nei successivi dodici anni diverrà la governante di casa e si dedicherà, come le sorelle, ad opere di carità nei confronti degli abitanti di Berlevaag.
La vita lenta e routinaria delle tre donne viene turbata dalla notizia che Babette ha vinto 10.000 franchi ad una lotteria francese. Le due sorelle temono che Babette approfitti di questo inaspettato colpo di fortuna per far ritorno in Francia, ma decidono di non fare domande, temendo che la risposta possa addolorarle.
Avvicinandosi il centenario della nascita del decano, Babette, che nei dodici anni di permanenza nella casa di Martina e Filippa non aveva potuto esprimere la propria creatività in cucina (la prima regola che aveva imparato era che il cibo assumeva significato solo come veicolo di carità), chiede di poter organizzare un pranzo per la comunità allo scopo di celebrare il decano. Martina e Filippa accolgono la richiesta con la promessa però che nessuno dei commensali commenti le portate che verranno servite.
Babette destina tutta la vincita della lotteria alla realizzazione di un pranzo straordinario, confezionato con maestria, utilizzando ingredienti preziosi e vini deliziosi provenienti dalla Francia.
Dei dodici commensali soltanto il generale Loewenhielm ha la percezione del valore economico di quel pranzo, tutti gli altri, abituati da sempre alla rinuncia ed alla frugalità, pur mantenendo fede alla promessa di non commentare i piatti assaggiati, avranno sempre memoria degli odori e dei sapori di quei manicaretti, ma soprattutto dell’ondata di calore umano che quel pranzo ha saputo trasmettere…. Non voglio svelare la fine del racconto, vi invito a leggerlo, sono certa che lo apprezzerete.
Karen Christentze Dinesen, chiamata in famiglia “Tanne”, nasce a Rungsted, a nord di Copenhagen il 17 aprile 1885, figlia di un aristocratico proprietario terriero e di una rappresentante della ricca borghesia danese. Nel 1895 il padre Wilhem si suicida ed i figli vengono cresciuti dalla mamma, Ingeborg Westenholz, in maniera apparentemente rigida. In realtà fu proprio la madre ad incoraggiare gli studi della figlia nel campo delle arti figurative, a finanziare il suo famoso viaggio in Africa e ad accoglierla nuovamente in casa al suo rientro in Danimarca.
Karen abbandona ben presto la pittura ed inizia a scrivere e pubblicare fin da giovanissima. Nel dicembre 1913 riesce a realizzare il suo sogno di trasferirsi assieme al fidanzato svedese Bror Blixen-Finecke in una piantagione di caffè ai piedi delle colline di N’Gong, nei pressi di Nairobi. I diciassette anni seguenti vedono il divorzio da Bror, la morte di Denis Finch-Hatton, il grande amore di Karen, ma soprattutto il dissesto economico-finanziario della piantagione di caffè, che sarà il motivo principale del suo rientro in Danimarca. Gli anni successivi, che patiranno la nostalgia dell’amata Africa, saranno estremamente prolifici riguardo la sua produzione letteraria, spesso firmata con pseudonimi: Issak Dinesen, Tania Blixen, Osceola, Pierre Andrézel, giusto per citarne alcuni. Il primo lavoro che la farà apprezzare da lettori e critica letteraria è la raccolta di racconti “Sette storie gotiche” del 1934. Morirà all’età di 77 anni, minata dalla sifilide contratta dal marito Bror, il 7 settembre 1962.
Karen Blixen è stata più volte candidata al Nobel per la Letteratura, ma non riuscirà mai a vincerlo: si dice che i giurati temessero di venire accusati di “favoritismo” nei confronti degli scrittori del nord Europa. Sembra che lo stesso Hemingway, quando nel 1954 fu insignito del prestigioso premio per “il vecchio e il mare”, abbia detto che lo avrebbe meritato anche la “gran signora venuta dal Nord”.
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