Il mio incontro con Michail Bulgàkov, il festeggiato di maggio, non ha generato amore a prima vista. Il suo capolavoro, “Il Maestro e Margherita”, entrò nella casa dei miei genitori sotto forma di regalo di un parente a mia sorella, probabilmente in occasione di una Comunione o una Cresima. Evidentemente il frettoloso acquirente si fece ingannare dal titolo e non ritenne opportuno approfondire meglio le tematiche contenute, sicuramente poco adatte ad un’infante. Sta di fatto che all’epoca tentai di leggerlo, ma ne ricavai ben poco, non riuscivo a capire esattamente cosa stessi leggendo, mi parve un libro “strano” e ben presto fu dimenticato sullo scaffale. A distanza di molti anni la lettura, apprezzatissima, di “Cuore di cane” mi riportò alla mente “Il Maestro e Margherita” e decisi di offrirgli una seconda chance. Mai decisione fu più azzeccata.
“Il Maestro e Margherita” è un capolavoro della letteratura del 900 che Montale definì «un miracolo che ognuno deve salutare con commozione». Sembra che Bulgàkov, tra il 1928 ed il 1940, abbia scritto e rimaneggiato il romanzo almeno otto volte e addirittura (tema ripreso anche all’interno del libro) un giorno l’abbia gettato nella stufa accesa. Ma, come sostiene Woland, “… i manoscritti non bruciano..” … e, dopo aver subito i veti, gli ostacoli, i tagli della censura di regime, esce – purtroppo postumo, ultimato dalla sua terza moglie Elena Šilovskaja – nel 1967. Rappresenta in maniera grottesca i costumi della Mosca degli anni ’30, in particolare quelli della classe dirigente, dei funzionari e dei burocrati asserviti al regime staliniano, che Bulgàkov tanto disprezzava. Contiene inoltre uno dei temi più comuni in letteratura, ovvero l’eterno conflitto tra il bene ed il male. Non è un testo semplice né leggero, ma è di sicuro un romanzo affascinante che è impossibile codificare in un unico genere letterario. Un romanzo d’amore, certo, ma anche fantastico, grottesco, drammatico, autobiografico, satirico, tragicomico…. “Il Maestro e Margherita” è di tutto un po’ e molto di più. L’originalità e complessità del romanzo sta nel fatto che non vi è un solo piano narrativo e temporale, ma ce ne sono almeno due: la storia d’amore fra il Maestro e Margherita e – romanzo dentro al romanzo – il manoscritto del Maestro, ambientato a Gerusalemme, che ci racconta del tormento che affligge il procuratore romano Ponzio Pilato, schiacciato dal senso di colpa per aver fatto crocifiggere Gesù Cristo (Yehōšua’ Ha-Nozri). Ho detto ALMENO due… in realtà vi è un terzo nucleo narrativo che dialoga con gli altri due: l’arrivo a Mosca di Satana, sotto le mentite spoglie di Woland, un non meglio identificato professore di magia nera, e dei suoi bislacchi aiutanti: il gatto Behemot, la strega Hella, il cecchino Azazello, con il suo osso di pollo rosicchiato dentro al taschino, il valletto Fagotto. Dopo il loro arrivo Mosca diviene teatro di colpi di scena ed accadimenti surreali e totalmente incomprensibili, che gettano nello scompiglio l’intera città.
Lo ritengo un romanzo consigliatissimo, anche se – a fine lettura – ho avuto la certezza di aver letto qualcosa di straordinario, ma non posso nascondere di essere stata assillata dal dubbio di non aver compreso fino in fondo tutto ciò che l’autore aveva da raccontarmi…
Michail Afanas’evič Bulgàkov nasce a Kiev il 15 maggio 1891 in una famiglia benestante: il padre era insegnante di storia delle religioni in un’Accademia ecclesiastica, la madre un ex insegnante. Si laurea in medicina nel 1916 ed inizialmente svolge la sua attività in provincia, prima di aprire un suo studio – specializzato in malattie veneree – a Kiev. Ben presto lascia la sua professione per la scrittura, in particolare la scrittura per il teatro, e si trasferisce a Mosca. Purtroppo le sue opere non vengono pubblicate dall’editoria statale né tanto meno vengono rappresentate, in quanto ritenute “diseducative” dal regime. Bulgakov, esasperato, decide di scrivere al governo dell’Urss per chiedere che gli sia concesso il permesso di espatriare o, in alternativa, che gli sia trovato un lavoro. Qualche tempo dopo Stalin in persona, pare subito dopo il funerale del suicida Majakovskij, gli nega la possibilità di espatriare, ma gli offre un posto come assistente regista e sceneggiatore presso il Teatro d’Arte di Mosca. Nonostante il nuovo impiego i suoi scritti e le sue opere teatrali vengono censurati uno dopo l’altro e ben presto Bulgàkov comprende che sarebbero rimasti a lungo nel cassetto della censura. Si dimette quindi dal Teatro d’Arte e dedica gli ultimi anni della sua vita alla rielaborazione de “Il Maestro e Margherita”. Morì a soli 49 anni nel 1940, per una nefrosclerosi ed è stato sepolto nel cimitero Novodevičij di Mosca.
di Silvia Corsinovi
4 risposte
Mi hai fatto venire la voglia di leggerlo… Ma sarà troppo difficile? Ci proverò.
Non è affatto difficile, e comunque ne vale la pena, credimi
Molto interessante, stimola sicura te la lettura. Grazie Silvia.
Grazie Paola