Nel 1949 io, William Faulkner, venni insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”, quinto scrittore statunitense a ricevere tale onore.
Il mio vero nome è William Cuthbert Falkner, diventato poi Faulkner a causa dell’errore di un errore ortografico di uno dei miei primi editori e che poi decisi di mantenere) e sono nato a New Albany (nello stato del Mississippi) il 25 Settembre 1897 ed ho esercitato l’attività di scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e poeta. La famiglia di mio padre Murry possedeva una compagnia ferroviaria fondata dal mio bisnonno, il vecchio colonnello William Clark Falkner che l’aveva fondata nel 1868. Mio madre Maud Butler gli diede altri 3 figli maschi. Nel 1902 mio nonno William vendette la ferrovia e tutta la famiglia si trasferì a Oxford dove lui iniziò ad occuparsi di allevamento, divenne rappresentante della compagnia pretrolifera “Standard Oil”, di un frantoio di semi di cotone, di una fabbrica di ghiaccio e di una ditta di ferramenta, fino a a diventare nel 1918 segretario e amministratore dell’Università del Mississippi. La mia famiglia viveva vicino ai nonni, sia materni che paterni, con Mamma Callie la nostra domestica che ci insegnò i nomi delle piante e degli uccelli, oltre che raccontarci tante storie. Avevo due grandi amiche: mia cugina Sallie ma soprattutto Estelle Oldham, mia vicina di casa, compagna di giochi e mio primo amore, che poi sarebbe diventata mia moglie. Ho avuto una bella infanzia, a contatto con le domestiche di colore, con il cocchiere afro-americano che mi insegnò a guidare il calesse, gli ex domestici che con mio padre andavo a trovare nelle loro case e la vita nel profondo sud ha fortemente influenzato la creazione del mio mondo fantastico e molte delle persone che lì ho conosciuto sono finiti nelle mie opere, senza che nemmeno gli cambiassi il nome. Passavo molto tempo con mio padre a contatto con i cavalli ed esploravamo la natura insieme ma leggevo anche molto soprattutto Melville, Twain, Shakespeare, Conrad, Joe Chandler Harris e Sherwood Anderson. Fu in questo periodo che iniziai ad interessarmi degli ex schiavi di colore che vedevo discriminati e ad appassionarmi a tutti i miti e le leggende della mia terra, in particolare a quelle raccontatemi dal mio bisnonno. Il vecchio colonnello era stato un personaggio importante nella storia del Mississippi dove era giunto nel 1839, dopo essere scappato di casa a 14 anni per raggiungere uno zio che gli aveva permesso di studiare giurisprudenza, aveva combattuto nella Guerra Civile per i Confederati (da lì il grado di Colonnello), aveva poi costruito la ferrovia e la cittadina di Ripley con lo stesso nome della compagnia ferroviaria. Poi si era sposato una prima volta ma lei morì dando alla luce mio nonno, dalla seconda moglie ebbe altri cinque figli, si batté in diversi duelli e da tutti questi racconti affascinanti per me bambino, da adulto feci tesoro per costruire la saga e la leggenda della mia famiglia. Non solo, il mio bisnonno scrisse anche un romanzo di grande successo che raccontava le sue avventure, al quale fecero seguito altre pubblicazioni che gli permisero di viaggiare, dando vita alla tradizione letteraria della mia famiglia. I miei studi si interruppero nel 1915 quando abbandonai la scuola per studiare da autodidatta, mentre lavoravo poco volentieri nella banca fondata da mio nonno, poi iniziai a frequentare il campus dell’Università del Mississippi senza esservi iscritto. Nel 1918, dopo una delusione amorosa, lasciai il lavoro in banca e mi trasferii a Oxford dove lavorai per un pò in un negozio d’armi ma poi cercai di entrare nell’aeronautica militare ma non venni accettato perché non avevo conseguito una laurea e non perché ero troppo basso come venne malignamente detto. Tornai a Oxford a fine anno e raccontai di finte storie di guerra e di finte ferite di guerra, tutto inventato. Tornato a casa iniziai a scrivere racconti sul giornale locale e sulla rivista universitaria. Dopo un paio d’anni a New York tornai di nuovo a casa ed iniziai a lavorare nell’ufficio postale dell’università ma non mi piaceva, perciò non brillavo né con i colleghi né con i clienti, a dire il vero più che consegnare le riviste prima le leggevo o le prestavo agli amici e più che consegnare la posta passavo il tempo a scrivere. Comunque lo stipendio era basso e dovevo barcamenarmi anche con altri lavori; alla fine mollai l’ufficio postale e pubblicai la mia prima raccolta di poesie che vendette proprio poco. Nel 1925 mi trasferii di nuovo questa volta a New Orleans, dove iniziai a scrivere in prosa e in poche settimane vide la luce “La paga del soldato” che uscì l’anno dopo grazie alla raccomandazione di un amico, lo scrittore Sherwood Anderson ma ebbe poco successo: mio padre si rifiutò di leggerlo e mia madre lo giudicò scandaloso. E allora? Dopo un viaggio in Europa tornai a casa a fare l’istruttore di golf, poi in una segheria e poi sui battelli da pesca. Ci riprovai nel 1927 con la pubblicazione di “Zanzare” nel quale descrivevo in modo satirico la società letteraria di New Orleans e neanche questo ebbe successo e l’editore mi sospese il contratto con il quale avrebbe dovuto pubblicarmi altri tre libri. Nonostante i rifiuti riscossi non mi arresi e continua a scrivere e a svolgere i lavori più disparati e mi sposai con il mio primo amore, Estelle reduce dal suo divorzio, unica compagna per tutta la mia vita. Lo stesso anno, il 1929, uscì “Sartoris” il primo romanzo ambientato nella Yoknapatawpha County, riproduzione della Contea Lafayette, dove ho vissuto quasi per tutta la vita. L’opera narra la storia della vita del mio bisnonno e del mio nonno e segna l’inizio di quel filone con il quale ricostruii, in maniera immaginaria ma realistica, la storia del Sud nell’800. Quello stesso anno uscì “L’urlo e il furore” quello che ritengo il mio romanzo migliore ma che nonostante le critiche favorevoli, non riscosse successo. Stessa sorte toccò a quelli che seguirono fino agli inizi del 1931 quando uscì “Santuario” con il quale trattavo i temi della corruzione e del male, che finalmente mi portò successo e risollevando la situazione economica della mia famiglia, nonostante lo scandalo che sollevò a Oxford, ma quello fu anche l’anno in cui io e Estelle perdemmo la nostra bambina, Alabama, nata prematura e morta dopo soli 9 giorni. Il successo attirò su di me anche le luci di Hollywood con cui iniziai a collaborare per i vent’anni successivi. Nel 1935 morì mio fratello Dean in un incidente aereo e per me fu un trauma tremendo, una tragedia che mi fece sentire anche in colpa perché ero io che lo avevo spinto verso la passione per il volo e in quello stesso anno iniziai una relazione con la sua segretaria, Meta Doherty Carpenter, che andò avanti per 15 anni. Finii anche in ospedale per l’alcolismo, strada sulla quale mi seguì anche mia moglie. Nel 1938 uscì “Gli invitti” considerato uno dei miei capolavori ma il successo fu provvisorio almeno in Patria visto che fino al 1945 ero più famoso e apprezzato in Europa, soprattutto in Francia. Il periodo della guerra mi causò nuove difficoltà economiche, per fortuna Malcolm Cowley, un critico letterario, curò un’antologia che comprendeva le mie opere, rilanciandomi sul mercato. Poi arrivò il Nobel, inaspettato devo dire e mi recai a Stoccolma con mia figlia Jill anche se ero riluttante: il discorso che tenni in quell’occasione viene ricordato come uno dei più significativi dal punto di vista morale che sia mai stato fatto su quel palco e l’assegno che ricevetti lo utilizzai per la costituzione di un fondo che avesse come scopo l’aiutare e incoraggiare i nuovi talenti e che chiamai Premio Faulkner. Nel 1952 ricevetti la mia prima Laurea Honoris Causa, ma anche l’ultima perché dichiarai espressamente che non ne avrei accettate altre. Poi mi recai a Parigi dove mi capitò di cadere spesso e i medici si accorsero che avevo la schiena a pezzi (avevo avuto diverse cadute da cavallo nel mio allevamento) ma rifiutai di operarmi e quando poco dopo venni ricoverato a Memphis per lo stesso problema, oltre che per alcolismo e depressione, rifiutai di nuovo. Continuai a scrivere sia libri che sceneggiature, ottenendo diversi premi come il Pulitzer, fino al 1952 quando pubblicai il mio ultimo libro “I saccheggiatori“. La mia vita terminò il 6 Luglio 1962 a causa di un infarto ed oggi riposo nel St. Peter Cemetery di Oxford. La mia casa è stata donata all’università del Mississippi. Sono considerato uno degli scrittori più importanti del secolo scorso, le mie opere sono ritenute provocatorie e complesse narrativamente, il mio stile denso di pathos e di grande spessore psicologico, l’unico vero scrittore modernista statunitense degli anni ’30.
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