7 Agosto 1929 – Arrigo Petacco

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Devo dire che da quando con Silvia abbiamo iniziato a tenere questa rubrica del “Compleanno dello scrittore”, ho avuto modo di dar fondo a quei libri acquistati da tanto tempo (ma proprio tanto) e rimasti in attesa di essere letti, così senza motivo. Anche questo che vi propongo si trovava tra quelli, non so da quando, ma devo dire che la sua lettura meritava di essere compiuta. Per celebrare il compleanno dell’autore di questo mese, Arrigo Petacco, ho scelto la biografia (un genere che a me piace molto) di una donna che, nella storia dell’Unità d’Italia, ha rappresentato davvero molto soprattutto per Napoli e il Sud: Maria Sofia di Borbone, intitolata “LA REGINA DEL SUD amori e guerre segrete di Maria Sofia di Borbone”. 

Maria Sofia è nata in Baveria, il 4 Ottobre del 1841, è una delle straordinariamente belle e famose cinque sorelle Wittelsbach, delle quali sicuramente la più celebre è Elisabetta, detta Sissi, futura imperatrice d’Austria, in gran parte, ai più, cinematograficamente famosa. Petacco inizia la narrazione proprio riassumendo l’infanzia spensierata delle sorelle, principalmente Sissi e Spatz, ovvero passerotto, soprannome di Maria Sofia, molto vicine, confidenti e complici visto che le dividevano solo due anni d’età. Erano figlie di quello che veniva definito il buon conte Max, un uomo bello, prestante, geniale, esuberante, un pò artista e… un pò matto come tutti i Wittelsbach passati e futuri. Era un gran bevitore, giocatore, amatore, viaggiatore (tutto con “gran” davanti) un mattacchione che aveva fondato a Monaco un circolo di burloni come lui chiamato della “Tavola Rotonda“. Inoltre scriveva poesie, opere teatrali e articoli per i giornali che firmava con lo pseudonimo di Phantasius. Non si sa bene quanti figli illegittimi abbia sparso per il mondo, di sicuro c’è che per i suoi otto legittimi fu un padre che anziché preoccuparsi della loro educazione scolastica, ne curava quella fisica ed era un padre sempre pronto a ridere e scherzare con loro, tanto a fare da cerbero c’era l’austera moglie Ludovica, rassegnata ad avere quel marito assente e libertino ma ben decisa a trovare mariti adeguati per le sue splendide figlie. Sistemata Elisabetta fu la volta di Maria Sofia e l’attenzione cadde su Francesco, erede di Ferdinando II re delle Due Sicilie: quando il buon Duca Max ne venne informato (venne abilmente tenuto lontano dalle trattative alle quali probabilmente avrebbe partecipato a modo suo) il padre scrisse alla figlia:”Te lo sconsiglio“. Il matrimonio si celebrò per procura l’8 Gennaio 1859, gli sposi si incontrarono per la prima volta quasi un mese dopo a Bari: Maria Sofia rimase profondamente delusa dallo sposo e capì che suo padre non aveva scherzato con quel messaggio, lo sposo rimase folgorato e ancor più intimidito dalla bellezza della sua giovane moglie. Potete immaginare cosa dovette essere l’impatto di questa giovane donna colta, intelligente, libera, che amava nuotare, tirare di scherma e con la carabina, che amava i cani feroci, allevava nidiate di canarini e pappagalli, che fumava piccoli sigari lunghi e sottili in una corte bigotta come quella di Napoli, accanto ad un marito timido, che il padre chiamava con l’appellativo di “lasa” da lasagna (piatto preferito del giovane principe ereditario), cresciuto orfano di una madre idolatrata come una Santa (beatificata dal Papa) dalla seconda moglie del padre, l’austera, arcigna, sospettosa e temuta arciduchessa Maria Teresa d’Austria. Alla mente aperta e fervida di Maria Sofia si contrapponeva quella di un timido, malinconico, introverso, silenzioso, sfuggente, complessato Francesco (chiamato Franceschiello dal popolo in un senso non proprio di apprezzamento) che aveva come unica lettura “La vita dei Santi“, il suo passatempo la raccolta di immagini sacre. Nemmeno dal punto di vista sessuale i due ebbero fortuna, se così si può definire: lui, oltre ad una timidezza direi ascetica, era affetto da un fastidioso disturbo del quale si liberò con un’operazione soltanto… dieci anni dopo le nozze! A contrastare la vivacità della nuova giovane regina (re Ferdinando era morto poco dopo aver conosciuto la bella nuora) c’era l’austera e onnipresente suocera, che mal digeriva le abitudini, come lo scandaloso “zompo”, ovvero il tuffo nelle limpidissime acque del porto militare, mentre Francesco ne era praticamente succube. Arrigo Petacco ci racconta le difficoltà e le frustrazioni alle quali Maria Sofia dovette far fronte una volta regina di uno Stato che iniziava a perdere colpi a causa dell’avanzata di Giuseppe Garibaldi e leggendo si intuisce che le conquiste dell’Eroe dei Due Mondi sono state più frutto degli errori di Francesco, della sua scelta di uomini sbagliati, del suo essere succube della matrigna piuttosto che seguire i consigli sensati della moglie ma, al tempo stesso, dona dignità ad un bistrattato Franceschiello: era timido, pauroso, sfuggente, impenetrabile ma non era il fantoccio che ci ha tramandato la storia. Il problema di Francesco II era che, tra gli uomini che lo circondavano, non  c’erano cortigiani e generali capaci ma per la maggior parte ignoranti, corrotti, cinici e pronti a tradire pur di salvarsi, alla faccia del regno. Maria Sofia era l’unica persona vicina al re con una visione illuminata e capace di progettare iniziative per salvare il trono ma non venne ascoltata. Il 13 Febbraio 1861 tutta la corte, sovrani compresi si rifugiarono nella roccaforte di Gaeta: il regno di Napoli era praticamente finito ma la sua regina non si arrendeva e non si sarebbe mai arresa. Com’è andata la storia qualsiasi libro ce lo può dire ma quello che non si dice è ciò che Maria Sofia rappresentò. Fu l’eroica protagonista dell’assedio di Gaeta e si guadagnò l’appellativo di “eroina di Gaeta”, adorata dai suoi soldati, amata dai giovani eroi romantici che giungevano da ogni parte d’Europa per porgerle i propri servizi e non solo quelli. Combatté contro gli odiati Savoia, usurpatori del suo trono, per tutta la vita non disdegnando di ricorrere ai legittimisti e ai briganti prima, agli anarchici poi e forse ebbe un ruolo nel regicidio di Umberto I. E i suoi nemici? Cosa fecero i Savoia e Cavour per contrastarla? Quello che fanno tutti coloro che si trovano a dover “combattere” contro una donna intelligente, coraggiosa, indomita non potendo contrastarla con le stesse armi alla pari, la denigrano, la sminuiscono, la ridicolizzano. Per offuscarne l’immagine imbastirono campagne scandalistiche vergognose come il diffondere sue foto osé che poi si rivelarono fotomontaggi (i primi della storia),  le attribuirono amanti e nefandezze di ogni genere ma non riuscirono mai a domarla. Come non riuscirono mai a scoprire la sua unica vera scappatella che, se non fosse intervenuta la famiglia Wittelsbach, avrebbe potuto avere una fine meno tragica. Da questo amore nacquero due gemelle che vennero allontanate dalla madre: una venne fatta passare per la figlia della sorella di Maria Sofia e l’altra venne data al padre, nessuno seppe mai nulla, nemmeno le bambine seppero dell’esistenza l’una dell’altra e la loro vita non fu felice, anzi fu drammatica. L’unica figlia che ebbe col marito, una volta tornata da lui, fu Cristina nata gracile e affidata alle mani di una governante incapace che ne causò la morte tre mesi dopo la nascita. Il libro si conclude con un’intervista rilasciata dall’ex regina nel Novembre 1924 ad un giovane giornalista del Corriere della Sera, Giovanni Ansaldo, che venne tagliato nella parte più offensiva nei confronti dei Savoia, ancora sovrani d’Italia ma poi riproposta integralmente anni dopo sul Tempo. I Savoia non ebbero nessun riguardo nei confronti dei Borbone e si appropriarono di tutti i beni dei sovrani sconfitti, sia quelli della corona sia quelli del tutto personali, come ebbe a denunciare l’ex regina nella parte censurata dell’intervista: “…che don Giovanni Rossi, che era impiegato della Casa Reale nostra, e che aveva la custodia del borderò di quattro milioni di ducati (76 milioni di euro), proprietà privatissima di mio marito Francesco II sia andato subito a presentarlo al Garibaldi, appena costui entrò a Napoli, per farsene merito, non mi meraviglia; che il Garibaldi, lo abbia subito confiscato insieme al borderò degli altri principi borbonici, neppure questo mi meraviglia; i rivoluzionari hanno sempre fatto così con i re caduti. Ma che i Savoia, dopo che ebbero annesso il Regno di Napoli, non abbiano sentito il bisogno di di usare un po’ di riguardo ai Borbone, che erano stai re legittimissimi, come loro, questo è ciò che ancora oggi, dopo tanti anni mi fa meraviglia. Vittorio Emanuele lo sapeva pure che quei quattro milioni di ducati provenivano dalla dote della madre di Francesco II, venivano dalla eredità di Maria Cristina di Savoia, erano il frutto della vendita dei beni allodiali del primo ramo dei Savoia, in Piemonte, e di palazzo Salviati, a Roma. E sapeva bene che la villa di Caposele, a Mola, non aveva nulla a che fare con i beni della corona, con i palazzi reali di Portici e Capodimonte, per esempio ma erano stata proprietà personalissima di Re Ferdinando e da questi lasciata a Re Francesco, mio consorte, in testamento, proprio in testamento, come bene libero. Ma non fece nessuna distinzione, neppure lui, come il Garibaldi. Fu un re che si comportò con noi come un rivoluzionario, e ciò non è un bene. La repubblica francese fu molto più signora con gli Orleans di quanto sia stato il regno d’Italia con noi… E ora voi mi dite che i figli del re d’Italia sono sani e belli e che si godono la vita. Io ne sono felice e auguro loro ogni bene. Ma il modo in cui hanno trattato noi è di brutto augurio. Dio non voglia che un giorno anch’essi, non abbiano da difendere, dall’esilio i loro patrimoni personali…”. La profezia di Maria Sofia si è avverata più di vent’anni dopo e forse questa è la sua vera vendetta. Lei non ha potuto verificarla di persona in quanto è morta a Monaco il 19 Gennaio 1925 ma ha potuto far ritorno nella sua amata Napoli nel 1984, quando le sue spoglie sono state traslate nella Basilica di Santa Chiara accanto a quelle del marito e della loro figlioletta.

ARRIGO PETACCO nacque a Castelnuovo Magra il 7 Agosto 1929. A 17 anni iniziò a lavorare come cronista per “Il Lavoro” di Genova, un piccolo giornale diretto da Sandro Pertini, dove fece una dura gavetta durata una decina d’anni, per poi passare alle grandi testate nazionali. Scrisse per riviste come “Grazia“, “Epoca“, “Panorama” e quotidiani come il “Corriere della Sera” e “Il Resto del Carlino“. Ha diretto per qualche tempo “La Nazione” di Firenze e “Storia Illustrata“. E’ stato anche uno scrittore ed esordì con una biografia su Gaetano Bresci, sceneggiò moltissimi programmi di storia per la RAI ma la carta stampata restò sempre il suo amore più grande. Sfruttando proprio la sua esperienza di cronista investigatore, affrontò i grandi misteri della nostra storia contemporanea. Pubblicò biografie basate su documenti originali spesso inediti come tra i quali, oltre a quella di Maria Sofia di Borbone, anche “Joe Petrosino” dalla quale, nel 1972, venne tratto l’omonimo sceneggiato televisivo con Adolfo Celi. Da “Cesare Mori” la biografia del funzionario mandato ad Mussolini in Sicilia a combattere contro la mafia, si ispirò il regista Pasquale Squitieri per il suo film “Il prefetto perfetto” con Giuliano Gemma e Claudia Cardinale. Una curiosità: un suo antenato, Luigi Ferrari, fu il militare che ferì Giuseppe Garibaldi sull’Aspromonte, evento narrato in “Ho sparato a Garibaldi“. Morì a Portovenere il 3 Aprile 2018

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