7 febbraio 1812 – Charles Dickens

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Pensare a Charles Dickens, il nostro festeggiato di febbraio, mi riporta al primo periodo di vita del Circolo Culturale LaRocca, alle nostre prime esperienze di fronte ad un “pubblico”, all’impegno, alla paura del giudizio, ma anche all’entusiasmo, alla voglia di fare e di mettersi in gioco. Dickens è stato il nostro primissimo esperimento e forse anche per questo è da tutti noi molto amato. Mettemmo in scena – con la collaborazione di uno stupendo coro gospel del territorio – la lettura del celeberrimo racconto “Canto di Natale” e vivemmo questa rappresentazione come un successo, non so se anche il pubblico condivise questo giudizio, ma noi fummo veramente soddisfatti del risultato che ne scaturì.
Conoscevo Dickens per aver letto in tenera età “Il Circolo Pickwick”, “Oliver Twist” e soprattutto “David Copperfield”, il mio preferito dei tre.
C’è da dire però che io ADORO letteralmente il Natale.
Lo adoro in tutte le sue accezioni e sfumature, a partire naturalmente da quelle più intime e profonde: il senso di rinascita e di speranza, il messaggio di pace e d’amore che il Natale evoca, e poi la valorizzazione degli affetti, la condivisione, la solidarietà e il prendere quindi le distanze da una realtà personale ed egoistica.
Questi elementi sono tutti ben valorizzati e racchiusi nel “Canto di Natale”, che resta, assieme a “Ricordo di Natale” di Truman Capote, la storia di Natale per eccellenza ed il libro che non manco mai di sfogliare nel periodo natalizio. In “Canto di Natale”, pubblicato a proprie spese nel dicembre del 1843, sono inoltre presenti temi cari a Dickens, che si ritrovano anche negli altri suoi romanzi: la speranza e l’agognato “happy end”,  ma anche lo sfruttamento del lavoro minorile, la denuncia delle pessime condizioni di vita dei ceti meno abbienti, le contraddizioni ed i lati oscuri dell’età vittoriana.

Ci racconta la storia, ambientata nell’Inghilterra dell’Ottocento, dell’avido banchiere Ebenezer Scrooge, che ha da tempo rimosso dalla sua vita solitaria il significato del Natale, ritenendolo addirittura una perdita di tempo, un giorno di lavoro e di guadagno persi.

“Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c’era vento più aspro di lui, non c’era neve che cadesse più fitta, non c’era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L’acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai.”

La vigilia di Natale Scrooge, dopo essersi sbarazzato in malo modo del suo dipendente Bob Cratchit, del nipote e di questuanti che chiedevano la carità per i poveri, rientra a sera nel suo appartamento, dove riceve la visita dello spettro del suo ex socio, oramai defunto, Jacob Marley, che gli preannuncia la visita degli spiriti del Natale passato, presente e futuro.
Questi lo accompagnano in un viaggio attraverso la sua vita, a partire dall’infanzia e la giovinezza, per finire a dare uno sguardo sul futuro e gli mostrano quali siano le relazioni che ha intessuto nella sua arida vita. Lo spirito del Natale futuro gli fa intravedere che, perdurando la sua durezza e la sua avidità, lo aspetterà una morte solitaria, abbandonato ed irriso da tutti.
E’ la mattina di Natale. Il vecchio Scrooge si sveglia nel proprio letto ed ha piena coscienza di aver sprecato la sua vita, ma ecco che il Natale diviene l’occasione per cambiare il proprio destino, di ripensare in maniera generosa, per esempio prendendosi cura della salute del piccolo Tiny Tim, il figlio di Bob Cratchit, all’importanza del rapporto con l’altro, e riscoprendo finalmente il significato vero e profondo del Natale.

“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch’egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro”.

Charles John Huffam Dickens nasce a Portsmouth, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, il 7 febbraio 1812. La sua infanzia e l’adolescenza sono segnate dalle cattive condizioni economiche della famiglia, tanto da impedirgli di frequentare la scuola in maniera regolare e costringerlo a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe in tenerissima età, in seguito alla carcerazione del padre per i debiti contratti. Questa esperienza si rivelò particolarmente traumatica per il piccolo Dickens, tanto che, come detto in precedenza, la piaga del lavoro minorile sarà rappresentata in molti suoi romanzi. Riprende gli studi in maniera discontinua e diviene stenografo e cronista parlamentare, iniziando così la carriera giornalistica. Collabora infatti con “The True Sun” e “Morning Cronicle”, ed è proprio su quest’ultimo che – nel 1836 – inizia a pubblicare in dispense mensili “The posthumous papers of the Pickwich Club” che gli dà visibilità e successo, tanto da divenire in breve tempo il romanziere più popolare dell’Inghilterra. Nello stesso anno si sposa con Catherine Hogarth che poco dopo lo rende padre del suo primogenito, Charles Culliford Boz. Con “Oliver Twist”, del 1838, dà vita al cosiddetto romanzo sociale, le cui tematiche ritroviamo anche in “David Copperfield”, “La piccola Dorritt” ed in molti altri. Nel 1842 si reca negli Stati Uniti insieme alla moglie, rimanendo profondamente deluso dal Paese, soprattutto a causa dall’istituzione della schiavitù; delusione racchiusa nella celebre e lapidaria frase: “questa non è la repubblica che avevo sognato”. Dopo un soggiorno in Italia che lo porterà a scrivere “Pictures from Italy” rientra in Inghilterra e, nel 1849, scrive “David Copperfield”, uno dei suoi romanzi più celebri, fortemente autobiografico. Nel 1855, a seguito anche del deteriorarsi dei rapporti familiari, va a vivere a Parigi, dove rimane per un intero anno. E’ del 1858 la separazione dalla moglie che viene annunciata da un articolo di giornale nel quale Dickens la accusa di non aver mai saputo prendersi cura dei figli (ne aveva avuti dieci) e della famiglia. A fine 1865 ritorna negli Stati Uniti dove prende parte ad una serie di conferenze sulle sue opere ed è di questo periodo l’inizio del peggioramento della sua salute. L’8 giugno 1870 viene colpito da un ictus e muore il giorno successivo. Riposa nel Poet’s Corner nell’Abbazia di Westminster.

di Silvia Corsinovi

2 risposte

  1. Rosanna fabrizi ha detto:

    F A V O L O S A la tua ricostruzione dei ricordi… Forse perché sono in parte anche i mie? Questo niente toglie però alla lievità e profondità del tuo racconto. Grazie per averlo scritto.

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