Ad ottobre spengiamo le candeline con uno degli scrittori (lo so, è un po’ riduttivo definirlo così) italiani più amati, colui che ci ha deliziato con le sue favole e filastrocche. E’ superfluo dire che mi riferisco a Gianni Rodari, quel meraviglioso insegnante-pedagogista-scrittore-giornalista che mi ha “educata” alla fantasia. A Rodari sono legati molti ricordi, e sono ricordi che sanno di buono, di infanzia, di compleanni, di Natali, di libri scartati e divorati, ma fra questi ce n’è uno a cui sono particolarmente legata e che mi porta a mia madre. La ricordo seduta in fondo al letto di mia sorella febbricitante, intenta nella lettura di “Favole al telefono”. Già questa era un’attività inusuale per mia madre, poiché noi bimbe eravamo abituate a leggere da sole i nostri libri, ma ricordo come fosse adesso lo stupore ed il divertimento che leggevo sul suo viso, mano a mano che si dipanavano le storie e prendeva confidenza con quel buffo linguaggio, con quelle parole strane e allo stesso tempo così pertinenti e scopriva che il ragionier Bianchi di Varese, rappresentante di commercio, tutte le sere chiamava al telefono la sua bambina e le raccontava una fiaba.
Chissà cos’avrà pensato mia madre, leggendo del palazzo del gelato a Bologna, del fucile di quel cacciatore sfortunato, che invece di sparare faceva “pum!”, e la pallottola cadeva per terra, oppure del giovane gambero che voleva imparare a camminare in avanti….
Credo che Gianni Rodari – a mio giudizio spesso frettolosamente bollato come “scrittore per l’infanzia” – sia stato uno straordinario protagonista del panorama culturale italiano, un innovatore che ha aggiunto nuovi significati e compiti all’insegnamento, un uomo colto, impegnato a far accettare il concetto di scuola laica e solidale, curioso, politicamente schierato e, forse anche per questo, talvolta penalizzato in termini di “considerazione” e visibilità.
Ho apprezzato i suoi versi e i suoi racconti incantati, il suo universo fantastico, sempre così attuale. Ma sicuramente l’aspetto di Rodari che ho amato ed amo di più è senz’altro quel suo modo di lasciare sempre una porta aperta a possibili e personali soluzioni ed interpretazioni. Sembra che una giovane studentessa gli abbia chiesto se preferisse le storie a lieto fine oppure no. Rodari rispose: “Preferisco che non finiscano, preferisco che quelli che leggono le finiscano come vogliono loro, preferisco le storie con un punto interrogativo così che i bambini possano inventarsi qualche cosa. Tocca a loro finirla”.
Un genio.
IL PALAZZO DI GELATO
Una volta, a Bologna, fecero un palazzo di gelato proprio sulla Piazza Maggiore, e i bambini venivano di lontano a dargli una leccatina. Il tetto era di panna montata, il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato a un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato, il più buono.
Una guardia del Comune, a un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa.
– Presto, – gridò la guardia – più presto ancora!
E giù tutti a leccare più presto, per non lasciar andare perduta una sola goccia di quel capolavoro.
– Una poltrona! – implorava una vecchiettina, che non riusciva a farsi largo tra la folla, – una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se è possibile -.
Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.
Fu un gran giorno, quello, e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia.
Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano:
– Eh già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna -.
IL DITTATORE
Un punto piccoletto,
superbo e iracondo,
“Dopo di me” gridava
“verrà la fine del mondo!”.
Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e-basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”
Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso
e il mondo continuò
una riga più in basso.
CAPELLI BIANCHI
Quanti capelli bianchi
ha il vecchio muratore?
Uno per ogni casa
bagnata dal suo sudore.
Ed il vecchio maestro
quanti capelli ha bianchi?
Uno per ogni scolaro
cresciuto nei suoi banchi.
Quanti capelli bianchi
stanno in testa al nonnino?
Uno per ogni fiaba
che incanta il nipotino.
LA TRAGEDIA DI UN DIECI
Fuggiva un giorno un Dieci
pieno di trepidazione,
inseguito da un nemico mortale:
la Sottrazione!
Il poverino è raggiunto,
crudelmente mutilato:
ben due unità ha perduto,
un Otto è diventato.
Dalla padella cascando
nella brace,
ecco qua,
incappa nella Divisione
che lo taglia a metà.
Ora è un misero Quattro,
mal visto dagli scolari.
“Consolati” gli dicono
“sei sempre un numero pari…”
“C’è poco da consolarsi
la mia sorte è ben dura.
O incontro un’Addizione
o sarà… la bocciatura”.
Giovanni Francesco Rodari nasce ad Omegna il 23 ottobre 1920 da Giuseppe, fornaio, e Maddalena, sposata in seconde nozze. A dieci anni perde il padre e si trasferisce con la mamma ed i fratelli Cesare e Mario a Gavirate, in provincia di Varese, dove nel 1937 si diploma all’Istituto Magistrale. Gianni è un giovane piuttosto timido e solitario, studente brillante ed appassionato alla letteratura, all’arte, alla filosofia ed alla musica. Sono di questi anni, infatti, le sue prime lezioni di violino. A 16 anni diviene Presidente dell’Azione Cattolica di Gavirate e pubblica sul settimanale cattolico “L’Azione Giovanile” i suoi primi otto racconti. A soli 18 anni inizia ad insegnare, divenendo precettore presso una famiglia di ebrei tedeschi a Cascina Piana. Nel 1941 vince il concorso per l’insegnamento ed inizia la sua esperienza nelle scuole elementari e ben presto, come molti colleghi, è costretto – per poter lavorare – ad iscriversi prima alla Gioventù Italiana del Littorio e poi al partito fascista. Viene chiamato alle armi dalla Repubblica Sociale alla fine del 1943 e destinato all’ospedale di Baggio a Milano. Purtroppo la guerra non risparmia i suoi affetti: prima cadono gli amici di sempre Amedeo Marvelli e Nino Bianchi, poi l’amato fratello Cesare viene internato in un campo di concentramento in Germania. Il giovane Rodari si avvicina così alla Resistenza lombarda entrando in clandestinità assieme ai reparti partigiani ed il primo maggio 1944 si iscrive al PCI. Al termine della guerra inizia la sua carriera giornalistica dirigendo prima “L’Ordine Nuovo”, fondato da Gramsci, per poi passare nel 1947 a “L’Unità”, dove lavora come cronista, capocronista ed inviato speciale. E’ del 1949 la nascita della rubrica “La domenica dei piccoli”, uno spazio dedicato ai bambini nel quale vengono pubblicate storie e filastrocche firmate con lo pseudonimo Lino Picco. Nel luglio 1949 «L’Osservatore romano» pubblica un decreto della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, approvato da Papa Pio XII, nel quale si dichiara illecito iscriversi al PCI e professare l’ideologia comunista, pena la scomunica. E’ di questo periodo la definizione di Rodari coniata dal Vaticano: “un ex-seminarista cristiano diventato diabolico”. A seguito di ciò, negli oratori e nei cortili delle parrocchie vengono bruciati i suoi libri ed i suoi scritti. Ciò nonostante è chiara a tutti la straordinaria capacità di Rodari nel dialogare con il mondo dell’infanzia, per cui nel 1950 viene chiamato a Roma a dirigere il “Pioniere”, settimanale illustrato per i ragazzi. Sono di questi anni le prime pubblicazioni per l’infanzia: “Il libro delle filastrocche” e “Il romanzo di Cipollino”, il matrimonio con Maria Teresa Ferretti e la nascita della figlia Paola. L’esperienza giornalistica non si interrompe – passando dal “Pioniere” ad “Avanguardia” a “Paese Sera”, col quale collabora fino alla morte – così come la produzione letteraria e numerose collaborazioni con riviste italiane dell’epoca. Il 6 aprile del 1970 Rodari riceve il Premio Andersen per la sua opera, una sorta di Nobel per la letteratura dell’infanzia. Nel 1973 pubblica quello che è considerato uno dei capolavori della sua produzione, la “Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie”, il suo unico scritto teorico organico rivolto agli educatori dell’infanzia: insegnanti e genitori. Nell’aprile del 1980, a soli 60 anni, si sottopone ad un intervento chirurgico alla gamba sinistra per un problema circolatorio. Muore 4 giorni dopo a seguito di shock cardiogeno.
di Silvia Corsinovi
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