Febbraio celebra la nascita di un vero talento della letteratura, un autore del quale è praticamente impossibile non aver letto almeno un’opera, considerata la sterminata produzione letteraria espressa durante la sua lunga vita. Ho letto da qualche parte che parliamo di oltre quattrocento romanzi, di cui circa duecento firmati col proprio nome e gli altri con una ventina di pseudonimi, uno su tutti: Georges Sim. Romanzi che, tra le altre cose, hanno evidentemente una vera e propria vocazione cinematografica, viste le decine di trasposizioni cinematografiche, teatrali e radiofoniche che ne sono state tratte.
Il belga Georges Simenon è sicuramente uno dei miei scrittori preferiti e negli anni la mia biblioteca si è arricchita di un considerevole numero di romanzi, nessuno dei quali mi ha deluso. Amo il suo stile asciutto, sobrio, quasi “giornalistico” (quella che Camilleri definiva una “sublime semplicità”), la sua evidenza descrittiva che catapulta il lettore all’interno della storia, la magia delle ambientazioni, soprattutto quelle rarefatte e nebbiose della provincia francese, splendide cartoline in bianco e nero. E i personaggi che si incontrano fra le pagine… gente comune: bottegai, impiegati, funzionari pubblici, pensionati, anime semplici ma allo stesso tempo complesse che attraversano vite routinarie, mediocri, senza speranza; hanno personalità borderline, che anelano più o meno consapevolmente a migliorare la propria esistenza… fino a che non si imbattono nell’evento scatenante. Ed allora tutto cambia. Immenso Simenon!
E che dire della leggendaria figura del Commissario Jules Maigret, protagonista di oltre settanta romanzi, con la perenne pipa accesa, il bicchiere di Calvados, il fare burbero che non cela del tutto una straordinaria carica umana, così distante dalla genialità di altri investigatori celebri, alla Poirot, per intendersi? Maigret, dall’abitazione in Boulevard Richard Lenoir, dove vive con la bella moglie alsaziana, ci accompagna per mano attraverso la mia adorata Parigi, lungo la Senna pullulante dei banchini verdi dei bouquinistes, sugli eleganti boulevards, dentro i bistrot, nella Brasserie Dauphine e nei fumosi uffici del “Quai” (des Orfèvres), il Palazzo di Giustizia.
Leggendo Simenon ho imparato quanto possa essere potente una parola e quanto sia fondamentale la scelta dell’unico aggettivo che completa ed enfatizza quella parola, ma sopra ogni cosa ho ammirato la sua capacità di far connettere il lettore con i personaggi, rivelandone con maestria non solo le caratteristiche fisiche, ma scandagliando la loro personalità, i loro pensieri, tanto che alla fine di molti dei suoi romanzi siamo convinti di conoscerli tanto quanto lui e ci diciamo che sì, “conoscendo quel personaggio”, non poteva che finire così.
Il romanzo di cui voglio parlarvi è “L’UOMO DI LONDRA”, un giallo psicologico di grande ambientazione, una delle prime opere firmate Simenon, scritto nel 1933 nella casa di campagna situata nella regione della Nuova Aquitania e pubblicato inizialmente a puntate su una rivista. Dal romanzo nel tempo sono state tratte quattro versioni cinematografiche, da “Temptation Harbour” del 1947 diretto da Lance Comfort a “L’uomo di Londra” del 2007, diretto dal regista ungherese Béla Tarr ed interpretato fra gli altri da Tilda Swinton.
E’ ambientato a Dieppe, nell’Alta Normandia, dove da trent’anni Louis Maloin – ferroviere addetto agli scambi – ogni sera prende la borraccia di smalto blu piena di caffè e si incammina nella notte per le nebbiose vie della città in direzione del porto. La cabina di vetro nella quale lavora e dove si fa compagnia parlando da solo, costituisce il miglior punto di osservazione dell’intera Dieppe: percepisce la vita notturna che si svolge attorno al Moulin Rouge, al Cafè Suisse, al mercato coperto, al porto e da lì può intercettare le abitudini stesse degli abitanti, scandite dallo spegnersi delle luci nelle abitazioni.
Una notte, vicino all’attracco dei traghetti provenienti da Newhaven, assiste al passaggio di una valigetta fra due uomini, ad una colluttazione che termina in un omicidio, al tonfo della valigetta in acqua.
Ecco l’evento scatenante a cui facevo riferimento prima…
Da questo momento la vita incolore di Maloin, che senza grande esitazione riesce a recuperare la valigetta ed il suo contenuto ma non si cura minimamente di denunciare l’omicidio di cui è stato testimone, prende un’accelerazione.
Intanto il suo rapporto con l’assassino, l’“uomo di Londra”: sanno dell’esistenza l’uno dell’altro perché i loro sguardi si sono incrociati e fissati, si cercano e si sfuggono, in un estenuante gioco del gatto con il topo. E la possibilità di riscatto, di un cambio di passo nella propria vita, grazie al contenuto della valigia.
Ma sopra tutto aleggia un senso di ineluttabilità, di già scritto, quasi che una vita mediocre non abbia gli strumenti per diventare qualcosa di diverso.
Georges Simenon nasce a Liegi il 13 febbraio 1903. Frequenta le prime classi dai gesuiti e fin da piccolo dimostra di essere un lettore voracissimo. Sviluppa molto presto la sua straordinaria capacità di scrivere, tanto che a soli 16 anni è già collaboratore della “Gazzetta” di Liegi, dove si occupa di una curiosa rubrica nella quale racconta storie – per lo più infelici – di cani. A soli 18 anni scrive “Al Ponte degli Archi”, il suo primo romanzo, e nel 1922 insieme a Régine Renchon (da lui soprannominata Tigy), studentessa dell’Accademia di Belle Arti, si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con lo stimolante panorama artistico-letterario della capitale francese: Andrè Gide, Jean Cocteau, Colette, Fernandel.. Più tardi stringerà una bella amicizia con Federico Fellini, raccolta in un “carteggio” pubblicato da Adelphi dal titolo “Carissimo Simenon – Mon cher Fellini”. Dal 1924 scrive moltissimo (anche 80 cartelle al giorno!), prevalentemente romanzi “popolari” che firma con i famosi pseudonimi, quasi che non lo rappresentassero completamente – tanto che li definisce “letteratura alimentare”. Con i primi guadagni compra una chiatta, poi un cutter – l’Ostrogoth –con cui attraverserà tutti i canali navigabili francesi. E’ del 1931 “Pietro il lettone” un poliziesco nel quale compare per la prima volta Maigret. In contemporanea al successo straordinario di Maigret inizia a scrivere romanzi (che definisce “romanzi-romanzi”) raffinati, per lo più pubblicati dalla prestigiosa casa editrice Gallimard. Alla fine della guerra – temendo di essere etichettato come “collaborazionista” (pare che abbia ceduto i diritti di “Maigret” alla Continental, società di produzione e propaganda cinematografica che faceva capo direttamente a Joseph Goebbels) – si trasferisce negli Stati Uniti, divorzia da Regine e sposa Denyse Ouimet, che gli darà tre figli ma avrà una vita segnata da continui ricoveri in cliniche e case di cura.
All’inizio degli anni 60’, in seguito ad una caduta, si fa assistere da una giovane donna di origini friulane, Teresa Sburelin, che diventerà la sua compagna fino alla morte. Nel 1972, a causa di una malattia che lo aveva fortemente debilitato, annuncia di non scrivere più ed inizia a registrare su nastri magnetici, rallentando di conseguenza la sua produzione. Ma il suicidio della figlia Marie-Jo, il 19 maggio 1978, interrompe la promessa fatta sei anni prima e scrive di suo pugno “Memorie intime”, romanzo autobiografico dedicato alla figlia scomparsa.
Georges Simenon muore a Losanna il 4 settembre 1989 per un tumore al cervello
di Silvia Corsinovi
Una risposta.
Parigi è una città che anche io amo. Simenon ne descrive l’aria che si respira.